L'INTERVISTA

Industria 4.0, Uberti: “Ora il governo non faccia dietro-front sugli incentivi”

Il Marketing manager di Par Tec: “Sulla manifattura digitale si possono fare salti in avanti importanti, purchè non cali l’attenzione delle istituzioni. A 20 anni dalla nostra nascita cambiamo pelle e passiamo alla fase della maturità. Con la business line Stackable offriamo servizi su misura, fedeli ai valori dell’open source”

Pubblicato il 04 Lug 2019

michelangelo-Uberti-Par-tec

Par-Tec cambia pelle, a 20 anni esatti dalla sua fondazione esce dall’adolescenza ed entra nella fase della propria maturità. Per riuscirci il system integrator ha affrontato nell’ultimo anno un processo di evoluzione importante, puntando sulla propria vocazione verso l’open source e l’assistenza “su misura” ai clienti. Uno dei punti di snodo di questo mutamento è stata la nascita di due nuove business line: l’area Educational, che ha già iniziato a dare risultati importanti, e Stackable, che mette a sistema tutte le competenze “digitali” del Gruppo per dare vita a una nuova offerta modulare, a disposizione delle medie aziende italiane del manifatturiero, per dare loro l’opportunità di abbracciare la quarta rivoluzione industriale. A spiegare in un’intervista a CorCom la nuova strategia è Michelangelo Uberti, Marketing manager di Par-Tec. 

Uberti, cosa c’è al centro del cambio di passo “culturale” di Par-Tec? 

Abbiamo voluto sfatare la convinzione – molto diffusa tra gli addetti ai lavori – che i conservatori più convinti nelle aziende siano gli addetti ai reparti IT: Stackable è la seconda business line nata in Par-Tec nell’arco di pochi anni, e segna un passo fondamentale per acquisire la fiducia di una platea più ampia rispetto ai nostri clienti “tradizionali”. Offriamo progetti, servizi professionali e formazione, in modo agile e modulare, rimanendo fedeli all’open source e quindi evitando per principio il vendor lock-in. Vogliamo che i nostri clienti acquisiscano la libertà di agire ed emanciparsi, e che trovino in noi tutto il supporto che serve loro per compiere uno step evolutivo. Inoltre siamo i primi a sperimentare l’approccio che proponiamo per aprirci a mercati nuovi: siamo partiti dalle large enterprise dei mercati telco e finance e oggi ci rivolgiamo alle Pmi del manufacturing. 

Come nasce la nuova business line Stackable e perché?

Il principio alla base di questa scelta è di coniugare tutta una serie di competenze e progetti in corso all’interno delle 5 aziende che compongono il nostro gruppo, che conta su un totale di circa 200 dipendenti. La presa di coscienza è stata evidente nel 2018, quando è stato chiaro che il nostro percorso portava fisiologicamente verso l’industria 4.0, ma anche che le aziende del nostro ecosistema avevano bisogno di procedere all’unisono nella stessa direzione, di collaborare in pieno. Per riuscirci era necessario un lavoro di coordinamento, e da qui è nata l’idea di Stackable, una piattaforma unificata e modulare che includesse l’hardware, il software, le componenti as-a-service e i servizi di consulenza, con l’obiettivo di realizzare progetti ad alto tasso di innovazione. Stackable in italiano vuol dire “impilabile”, e restituisce il senso di un’offerta di servizi modulabile e sovrapponibile a seconda delle esigenze, per accelerare l’innovazione, quel “Boosting innovation” che è il pay-off del nuovo brand. 

Che tipo di progetti state realizzando, dove sul mercato c’è più richiesta delle vostre soluzioni?

Abbiamo progetti molto interessanti sul fashion. Curiamo ad esempio l’interconnessione delle macchine da cucire di uno dei principali produttori di fascia alta del mercato, realizzando su misura un device che consente di raccogliere una serie di metriche grazie a una rete di sensori. Questo permette – con diversi gradi di integrazione – di utilizzare la blockchain per introdurre un nuovo concetto di tracciabilità di prodotto, tema fondamentale per la tutela del Made in Italy, o di abilitare gli analytics per l’ottimizzazione della produzione e la manutenzione predittiva, che consente di anticipare il verificarsi di un problema ed evitare blocchi di produzione o fermi macchina particolarmente onerosi. Ma c’è anche la manutenzione prescrittiva: sapendo in anticipo che lavorando a un certo regime l’ago potrebbe rompersi, è possibile rimodulare il ritmo per assicurare il miglior rapporto tra produzione e durata.

E al di là del fashion? 

Un altro progetto interessante è nell’automotive, con un’industria del Lazio che produce componentistica per vetture del segmento premium. Insieme all’Università La Sapienza di Roma e al principale fornitore di tecnologie 5G in Europa siamo partiti dalla blockchain, utilizzando come sorgente dei dati un IoT intelligente e non invasivo: grazie all’applicazione di innovativi modelli di analisi vibrazionale si arriva a capire se potrebbero verificarsi a breve problemi nel processo produttivo. Ma ciò che è più interessante è che le macchine possono comunicare tra loro tramite connessione 5G e smart contract per adattarsi in automatico ai cambiamenti nella catena di produzione.

Quali conclusioni si possono trarre da due casi d’uso così diversi?

La “morale” è che si possono estendere le funzionalità dei macchinari e del processo di produzione anche senza stravolgere i sistemi, stando ben attenti a preservare gli investimenti già fatti. È uno dei vantaggi della cultura open source: non si deve rivoluzionare tutto, ciò che c’è e che va ancora bene rimane dov’è, e il nuovo lo rendiamo compliant. 

Il mercato ha ormai definitivamente imboccato la via dell’industria 4.0?

In generale direi di sì, anche se c’è ancora molto da fare. Nell’ultimo anno ad esempio c’è stato un calo degli investimenti: gli imprenditori si sono inizialmente mossi grazie allo stimolo degli incentivi fiscali del piano Calenda, che ha smosso un mercato parzialmente stagnante. Ma da qui ad arrivare ad un diffuso utilizzo degli smart contract, se parliamo di blockchain, c’è ancora molto da fare. Ora è importante che il Governo non faccia dietro front sugli incentivi, perché questi due anni e mezzo di industria 4.0 hanno fatto comprendere anche agli scettici che si possono fare balzi evolutivi importanti. Anche, ad esempio, nell’agrifood, dove stanno tornando i giovani imprenditori.  

Qual è il vostro approccio alla Blockchain?

Nel nostro modo di interpretare il ruolo di un moderno system integrator non vogliamo reinventare l’acqua calda, ma portare a terra casi d’uso innovativi. Oggi la blockchain è sottovalutata e sottoutilizzata, e noi con la nostra startup non ci preoccupiamo solo degli aspetti tecnologici, ma di trovare casi d’uso sempre diversi e sempre nuovi che si prestino a molteplici scenari. Può essere fondamentale per la promozione del Made in Italy, ma anche nella smart agricolture per raccogliere dati sul territorio, trasmetterli, notarizzarli, e analizzarli. 

Che tipo di approccio all’innovazione hanno i clienti quando entrano in contatto con Par-Tec?

Questo è un momento di grandi aspettative che dobbiamo gestire con attenzione. Il consulente non deve soltanto trovare la soluzione tecnologica più adatta, ma anche verificare che l’aspettativa del cliente sia corretta. Ad esempio, non si può decidere di usare la blockchain solo perché va di moda: si deve iniziare dai punti concreti e arrivare a costruire su questi gli strati successivi. La prima cosa da comprendere è la direzione che vuole assumere il cliente, cosa ha già e non vuole cambiare, cosa vuole rinnovare usufruendo dell’iperammortamento, cosa vuole introdurre di completamente nuovo. Perché non vendiamo prodotti da scaffale, ma esperienze innovative.

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