La fiera sulle tecnologie industriali di Hannover: è qui che nel 2011 ha visto la luce il concetto di “Industria 4.0”. Ed è sempre qui che la Commissione Ue nell’aprile di quest’anno ha annunciato la presentazione di una vasta iniziativa per portare l’Ue alla testa della “quarta rivoluzione industriale”. I tecnici dell’esecutivo di Bruxelles, ha rivelato in quell’occasione il commissario all’Economia digitale Günther Oettinger, stanno confezionando “un piano di azione che sarà illustrato ai ministri europei all’inizio del prossimo anno”. E che muove da un dato incontestabile: “l’industria 4.0 offre un’opportunità che non possiamo mancare. In gioco c’è la competitività dell’industria europea in tutti i suoi settori”.
La competitività soprattutto del comparto manifatturiero, che nonostante la concorrenza delle economie emergenti ancora oggi può contare su 2 milioni di aziende per un totale di 33 milioni di posti di lavoro. Ecco perché su questo fronte Bruxelles vuole rilanciare. L’obiettivo è portare l’asticella del Pil europeo da manifatturiero al 20% entro il 2020: traguardo che appare realistico, è il ragionamento su cui Commissione e stati membri concordano, solo a condizione di trasformare l’Ue in un campione globale dell’internet industriale.
Il piano annunciato da Oettinger dovrebbe snodarsi su quattro azioni. Per prima cosa la si punta ad aiutare i settori industriali a integrare tecnologie di nuova generazione nei propri processi produttivi, attraverso un ventaglio di interventi che spaziano dal sostegno alla ricerca e alla diffusione di expertise tecnologico sino alla creazione di hub regionali d’innovazione digitale. Sul piatto 500 milioni di fondi europei “diretti”, a valere su programmi quali Cosme, Horizon 2020, etc. A questi andrebbero ad addizionarsi altre risorse in provenienza dai fondi strutturali e dal “fondo Juncker” che in virtù dell’effetto leva potrebbero generare investimenti complessivi per circa 5 miliardi di euro nell’arco dei prossimi cinque anni. Una cifra ragguardevole, ma non eccessiva se si pensa che al momento appena l’1,7% dell’industria europea fa uso di tecnologie digitali applicate ai processi di produzione. Il che, è la stima della società di consulenza Roland Berger, significa che per far decollare l’industria 4.0 su scala continentale occorrono almeno 60 miliardi di euro all’anno di investimenti aggiuntivi in piattaforme digitali, software, robotica, gestione dei big data, sistemi cloud.
Altri due capitoli importanti, sui quali peraltro si sorregge un pezzo importante della strategia per il Mercato unico digitale licenziata a maggio scorso, fanno perno sul sostegno allo sviluppo di piattaforme digitali di prossima generazione e alla diffusione delle competenze digitali. Qui si tratta di garantire che l’agognato salto nel digitale dell’industria non patisca un’eccessiva dipendenza dalle tecnologie offerte da aziende extra-Ue e sia al contempo puntellato da un’adeguata disponibilità di mano d’opera specializzata. Il nodo delle digital skills è dunque cruciale. L’informatizzazione dei processi produttivi “aumentando flessibilità, efficienza, produttività e competitività, contribuirà alla creazione di occupazione”, dice il vice-presidente della Commissione Andrus Ansip. Basti ricordare che nei prossimi dieci anni l’Industria 4.0 genererà nella sola Germania 390mila posti di lavoro aggiuntivi. Molti più di quanti ne distruggerà. Il quarto anello del piano Ue dovrebbe consistere in un bouquet di misure legislative: ”abbiamo bisogno di una regolamentazione smart per l’industria smart”, è lo slogan ripetuto da Oettinger. Un fronte sul quale la Commissione si è già impegnata a legiferare è quello della libera circolazione dei dati. Su questo e altri temi Bruxelles sta intensificando il dialogo con il settore privato. In luglio i commissari Ansip e Oettinger hanno incontrato i principali rappresentanti dell’industria continentale che fanno capo all’Ert (European Round Table of Industrialists) discutendo la prospettiva di creare una piattaforma europea sulla manifattura digitale: in pratica un tavolo di discussione permanente. Un progetto che, presumibilmente, dovrebbe vedere la luce in autunno.