Pervasività del digitale, importanza del capitale umano, forza della consapevolezza fra i manager, ruolo della politica e approccio di sistema. Lungo queste direttrici si è svolto il confronto fra imprese, politica e istituzioni sull’industria 4.0 andato in scena oggi a Roma, nel corso dell’evento Industry 4.0 360 Summit, organizzato da Digital360. Dallo scenario italiano, che sconta un ritardo sul fronte imprenditoriale e culturale, al piano Calenda, chiamato a fare da miccia innovativa, i temi al centro del dibattito sono serviti a scavare nella profondità di un paradigma industriale che l’Italia è obbligata a sposare.
Industry 4.0, tra politica e mercato – A fare gli onori di casa dell’incontro, andato in scena a Montecitorio, è stato Stefano Quintarelli, deputato del gruppo Civici e innovatori sempre in prima linea quando si tratta di innovazione e tecnologia per l’impresa. “Fare industria 4.0 è avvolgere la materialità della produzione con l’immaterialità della digitalizzazione, i cui trend in corso ci terranno impegnati per i prossimi 10 anni”, ha spiegato Quintarelli citando intelligenza artificiale, connettività e storage come “le tre sfide inevitabili per chiunque faccia e farà impresa”. Attenzione però a farne un questione di prodotto: “Non bisogna limitarsi al processo produttivo in sé, ma investire sul capitale umano e aprire il fronte R&S puntando sull’open innovation. Altrettanto importante è investire in sicurezza e conoscenza, perché l’identità dell’utente e il controllo della relazione con il cliente stanno modificando il rapporto azienda-clienti”.
Cultura, cultura e cultura il mantra che ha animato l’intervento di Andrea Rangone, amministratore delegato del gruppo Digital360. “Il paradigma dell’industry 4.0 non può essere sposato solo con la tecnica, ma serve uno spirito imprenditoriale forte e coraggioso. In una economia matura la crescita economica è legata alla capacità di generare nuove imprese ma – ha avvertito Rangone – per seguire questa rotta è necessario che spinta tecnologica e apertura culturale di chi fa impresa viaggino insieme”. Un passo deciso in questa direzione, ha aggiunto, “deve arrivare dall’incontro e dal confronto fra politica e imprese su questi temi. La sfida non è rinviabile e serve un elettroshock culturale a tutti i livelli, dalla politica all’impresa, perché l’industria 4.0 non sarà solo manifattura: riguarderà qualsiasi settore e ben vengano le politiche ad hoc strategiche”.
Sulla situazione attuale dell’industria italiana e sulle sue prospettive a tinte 4.0 si sono concentrati i due esperti Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio IoT del Polimi, e Marco Taisch, professore di Sistemi di produzioni automatizzati e tecnologie industriali dello stesso ateneo.
“La partita non riguarda solo la manifattura, ma è in gioco l’ecosistema innovativo italiano. C’è molto da fare, visto che due imprese su 3 sottovalutano il digital skill gap, che esiste e va affrontato, e siamo in ritardo sull’adozione dell’IT – ha sottolineato Miragliotta -. Serve uno scatto anche perché il 40% dei top manager non conosce il paradigma dell’industria 4.0. La consapevolezza è strategica: fare industria 4.0 vuol dire sì utilizzare il digitale ma anche saper leggere i nuovi business”. Sul fattore umano ha spinto anche Taisch, ricordando l’importanza del tema competenze contemplato dal piano Calenda e della capacità di allineare professionalità e mercato: “Le skill sono un asset importantissimo perché oggi osserviamo un alto tasso di disoccupazione giovanile e molte imprese che cercano competenze e non le trovano. Un doppio dramma che ci obbliga a formare competenze, ma anche formatori e sistemi di comunicazione in grado di orientare i giovani fin da subito. Spingiamo i ragazzi dove c’è mercato. Diciamo loro la verità, cosa succede davvero nel mondo”.
Ai prof del Polimi ha fatto eco Francesco Sacco, docente della Bocconi, che ha spiegato come “dopo internet l’export è cresciuto rapidamente in tutte le economie avanzate tranne che in Italia, dove la salita è stata moderata: abbiamo già perso un treno, evitiamo di fare lo stesso con quello dell’industry 4.0 che è una nuova e unica occasione“.
Ambizione e merito, la sfida del Piano Calenda – Naturalmente grande protagonista del dibattito è stato il progetto del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che ha ricevuto il plauso delle istituzioni presenti al summit odierno. Prima dei loro interventi è stato Stefano Firpo, direttore della Direzione generale per la politica industriale, la competitività e le Pmi del Mise, a fare il punto dell’iniziativa: “Scorciatoie o formule a breve termine non aiutano e serve un lavoro quotidiano paziente e coraggio su questi temi. La continuità è fondamentale e il governo si è impegnato su un piano che si basa su automatismi di attuazione e che evita il più possibile la lentezza di bandi e l’intermediazione”. Firpo lo ha definito “un piano è meritocratico e selettivo, caratteristiche tutt’altro che scontate e anzi segni di coraggio”. Gli incentivi fiscali previsti dalle misure, ha specificato con tono deciso, “sono una miccia, una chiamata per generare un circolo virtuoso di innovazione: l’attuazione nelle mani delle aziende e più in generale è auspicabile anche un cambio di marcia rispetto alla retorica distorta su imprenditorialità in Italia, che genera una scarsa considerazione delle nuove imprese”.
Più cauto ma comunque positivo il giudizio espresso dal direttore Politiche industriali di Confindustria, Andrea Bianchi: “Il Piano Calenda è la grande arma da sfruttare e l’Italia è stata la prima al mondo a definire le categorie di beni 4.0. Fortunatamente ora c’è una forte attenzione del mondo dell’imprese, che anche solo un anno fa era quasi impensabile. Indubbiamente – ha commentato Bianchi – trasformare l’attenzione in investimenti è un altro passo ben più importante e difficile, determinato sia dal contesto sia dalle aspettative sul futuro che in questo momento però non brillano. Attenzione a non fossilizzarsi solo sulle competenze nuove, scordandoci di quanto serve anche una riqualificazione delle skill che hanno tenuto in piedi la fabbrica finora ma che non bastano più”.
Sul concetto di sistema si è speso con vigore Gianni Potti, presidente del Comitato nazionale coordinamento territoriale di Confindustria servizi innovativi e tecnologici: “Il Piano 4.0 è arrivato, seppur in ritardo. Va bene l’iperammortamento, ma l’industria 4.0 non deve essere ridotta a uno sconto fiscale. Deve essere il risultato di un ripensamento del sistema industriale del Paese, che arrivi a reingegnerizzazione dei processi e che colleghi ricerca e imprese come stiamo facendo noi con i Digital Innovation Hub”.
Quest’ultima iniziativa è stata citata anche nel discorso tenuto da Elio Catania, presidente di Confindustria digitale, che ha parlato del piano Calenda dichiarando che “non sarà perfetto ma dimostra un’ambizione politica sul fronte hi-tech mai vista finora” L’industria 4.0, secondo Catania, “ha bisogno di leadership politica e imprenditoriale e ora dobbiamo scaricare a terra energia e fare arrivare skill alle migliaia di Pmi che animano l’impresa italiana”. Si deve partire da un “approccio positivo alla tecnologia, che porta con sé rischi e cambiamenti ma allo stesso tempo è una miniera di opportunità: con il piano Calenda si è scommesso su un mix micidiale, composto da incentivi, investimenti e risparmio. Adesso bisogna solo decidere se scommettere sull’innovazione tecnologica e il tempo sarà cruciale”.
Per Lorenzo Basso, deputato PD particolarmente impegnato sul fronte dell’industry 4.0, “siamo di fronte a sfide nuove per il capitalismo italiano, ma dobbiamo stare attenti a non tagliare fuori il tessuto delle Pmi che sono la nostra colonna portante”. In che modo? Dobbiamo “sfruttare il valore del Made in Italy, l’anima italiana, mettendo intelligenza nei nostri prodotti, e dobbiamo migliorare la catena produttiva e interconnettere la produzione”. Mentre Paolo Prinetto, presidente del Consorzio interuniversitario nazionale per l’informatica, ha ricordato che “l’industria 4.0 e la cybesecurity sono legate indissolubilmente: non c’è la prima senza la seconda, sottovalutare la sicurezza rischia di compromettere qualsiasi progetto”.
L’industry 4.0 italiana: eccellenze ed ecosistema – L’ultima parte dell’evento è stata dedicata all’attuazione concreta della quarta rivoluzione industriale nelle fabbriche nostrane. È stata spiegata da Alessandro Berzolla, coo di Dallara Automibili, l’esperienza dell’azienda emiliana impegnata a reinventare i processi in ottica digitale già da molto tempo. “La lentezza fra pensiero e produzione è spesso il freno principale dell’innovazione”, ha spiegato prima di lasciare la parola a Carlo Maria Capè, amministratore delegato di Bip che ha posto l’accento sulla necessità di dotare il management di professionisti all’altezza. “L’industria 4.0 è un mare ampio e bisogna capire quale rotta intraprendere: l’innovation management è fondamentale, senza un chief innovation officer si rischia di navigare a vista e non cavalcare la digital trasformation”.
Secondo Alessandra Santacroce, Government and Regulatory Affairs Executive di Ibm Italy, se con il Piano 4.0 “si è finalmente vista una vision d’insieme” bisogna comunque tenere a mente che “il ruolo vero di driver spetta alle aziende, perché sono loro le uniche a poter restituire competitività all’Italia“. La vera scommessa 4.0, ha aggiunto Santacroce, “è nei dati, che bisogna saper leggere e trasformare in nuovi progetti”.
A chiudere i lavori è stato infine Francesco Maria Cuccia, capo della Segreteria tecnica del ministro Calenda: “Parlare di industria 4.0 è il miglior modo per digerirla. Finalmente la politica industriale è tornata al centro della strategia del governo. L’esecutivo ci crede e sta puntando su un’azione di sistema. Si tratta di un’innovazione forte non solo per i contenuti, ma anche e soprattutto per la vision strutturale”.
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