Quale impatto avrà la rivoluzione 4.0 sul mondo del lavoro? Quando se ne vedranno gli effetti? E, soprattutto, sarà davvero possibile riconvertire l’attuale forza lavoro in modo innovativo e funzionale alle esigenze della fabbrica e dell’impresa digitale? Questi gli interrogativi su cui sono puntati i riflettori di economisti ed esperti di politiche del lavoro ma anche dei governi elle economie occidentali che rischiano di trovarsi di fronte a un’emergenza sociale se non metteranno a punto per tempo delle strategie di “riconversione”. La rivoluzione però è già in atto e si può già raccontare attraverso casi ed esperienze concrete. È proprio quello che fa il giornalista ed esperto di Tlc e nuove tecnologie Edoardo Segantini nel suo libro “La nuova chiave a stella – Storie di persone nella fabbrica del futuro” (4.0 Guerini edizioni) fin dal titolo un omaggio a Primo Levi e al talentuoso tecnico protagonista del romanzo del 1978 che gira il mondo a montare tralicci conscio della sua preziosa competenza.
Quattordici le storie e i protagonisti del “viaggio” compiuto da Segantini in cui l’uomo è al centro dell’innovazione e dovrà necessariamente continuare ad esserlo se l’obiettivo è davvero quello della fabbrica intelligente: “Una fabbrica è davvero intelligente – si legge nel libro di Segantini – se sa rispondere in fretta e in modo personalizzato alle richieste dei clienti. Reattività e personalizzazione presuppongono strutture organizzative in cui i lavoratori giocano un ruolo attivo a tutti i livelli”. E così nasce la figura dell’“operaio aumentato”, una figura professionale in crescita “che sempre più mette i campo, oltre alle braccia, anche il cervello. Aumentato perché creativo, coinvolto, responsabile. Capace di gestire i dati, compiere una pluralità di operazioni, collaborare con gli altri: mettere al servizio del lavoro le stesse abilità digitali che utilizza nella vita privata”.
Il futuro dunque può riservare positive sorprese, ma va sciolto un importante nodo, quello della questione salariale. “Il lavoratore non può essere aumentato solo di nome: deve vedersi riconosciuto nel salario quel di più che gli si chiede in termini di partecipazione creativa al lavoro e di aumento di produttività”. La sfida per l’Italia si fa dunque dura, visto che – come ricorda l’autore – siamo agli ultimi posti in Europa nella graduatoria dei livelli retributivi. E nel citare lo scienziato-imprenditore Jerry Kaplan si indicano due strade possibili. “La prima è quella di creare strumenti e incentivi per riqualificare i lavoratori e reinserirli nelle aziende che crescono: non per salvare posti di lavoro decotti”. La seconda strada è quella di “lanciare iniziative come quella che Kaplan chiama Publici Benefit Index, un indice di proprietà collettiva per favorire, con forti incentivi fiscali, le società ad azionariato diffuso”.