La positiva attenzione del governo sulla partita di industria 4.0 è importante e va aiutata a concretizzarsi per il meglio. Il nostro tessuto produttivo è diverso dagli altri paesi europei. Un recente articolo della voce.info di Della Valle e Di Lorenzo riporta come le imprese italiane soffrono di una presenza eccessiva di management familiare rispetto agli altre. Citando due studi (“Diagnosing the italian disease” di Zingales e Pellegrino e uno studio di Banca Italia ) gli autori arrivano alla conclusione che questo provoca perdita di produttività e bassa innovazione, fino a giungere ad affermare che “un sistema in cui la conservazione del controllo rappresenta l’obiettivo primario a scapito dell’innovazione organizzativa e tecnologica non può certo raggiungere i risultati migliori”. Questa evidenza si ha anche dall’obsolescenza dei macchinari che per il 27% ha più di venti anni. L’età media del parco macchine nel 2005 era di 10 anni e 5 mesi, nel 2014 è arrivata a 12 anni e 8 mesi. Gli impianti produttivi senza alcuna integrazione ICT sono il 79% del totale in forte calo. Il numero di laureati nel nostro paese è il minore di tutto l’OCSE e il loro utilizzo nelle imprese è basso.
Una indagine di confimprese italia del 2011 disegna la figura del “microimprenditore”, per il 25% ha una laurea e per il 50% un diploma, solo l’8% si forma per 20 o più ore l’anno, il 33% non ha alcuna esperienza di lavoro precedente.
Imprese con un management carente non sono in grado di rinnovarsi, di comprendere come e dove cambiare. La governance e la managerialità rappresentano il fulcro sul quale costruire il nostro modello di industria 4.0. Il mercato attuale è molto diverso da quello di qualche anno fa e in futuro sarà ancora più diverso da ora, è strategico dare agli imprenditori gli strumenti cambiare le imprese, soprattutto è importante che il modello adottato non sia un copia e incolla da modelli esteri ma sappia inserirsi nella originale realtà italiana.
La politica dovrebbe concentrare i suoi sforzi in un recupero di managerialità, è necessario da una parte costruire percorsi di formazione certificati e dall’altra incentivare le imprese ad utilizzare competenze esterne e di consulenza di qualità riconosciuta. Diffondere l’utilizzo delle competenze professionali elevate nel sistema delle imprese è la più grande rivoluzione che si può fare per portare le tecnologie e i loro benefici.
La tecnologia non basta, è indispensabile management e conoscenze che diano un impulso nuovo. Questo può essere fatto sia attraverso incentivi, sia attraverso obblighi di legge che spingano a formazione periodica, utilizzo di consulenze e “tutoraggi”. Un modo anche per utilizzare la grande disoccupazione dei laureati.
Industria 4.0 può diventare l’occasione per trasformare il nostro sistema industriale e aiutarlo a diventare competitivo nei prossimi 20 anni, è necessario evitare che gli incentivi e gli sgravi si materializzino con un massiccio acquisto di tecnologia inutilizzata, con un aumento della produttività verso la produzione di prodotti obsoleti o con modelli di marketing e vendita incapaci di confrontarsi con le sfide della globalizzazione.
Molti credono che gli esperti di industria 4.0 siano le persone che hanno più competenze tecnologiche, nerd prestati al management ma questo purtroppo non è vero. La forza non è nello strumento ma nella capacità di chi sa utilizzarlo al meglio tenendo conto dei suoi obiettivi e della sua situazione di partenza.