Industria 4.0, Taisch: “Ora le aziende non hanno più alibi”

Il docente del Politecnico di Milano sul piano Calenda: “Una strategia armoniosa che punta a coinvolgere tutte le imprese e che scommette sulla fiducia tra pubblico e privato”. Nessun rischio finanziamenti a pioggia. Ma sulle Pmi: “C’è da lavorare sul fronte informazione, centrale il ruolo delle associazioni di categoria”

Pubblicato il 23 Set 2016

Federica Meta

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“Un piano armonioso che crea grandi opportunità per il Paese. Le imprese che vogliono davvero innovare ora non hanno più alibi”. Marco Taisch, docente del Politecnico di Milano che con il suo Manufacturing Group ha partecipato alla cabina di regia, spiega perché la strategia del governo su Industria 4.0 può rappresentare la chiave di volta per la competitività del sistema Paese.

Non è la prima volta che si prova a spingere le imprese verso la digitalizzazione. Perché questa dovrebbe essere la volta buona?

Perché per la prima volta si va a lavorare sul bilancio delle imprese che, grazie a strumenti forti di leva fiscale, possono scegliere in quali tecnologie investirein linea con le esigenze del loro mercato e dei loro clienti. La novità sta dunque nel fatto che non vengono identificati settori produttivi e tipologie di imprese da sostenere perché lo smart manufacturing è una rivoluzione che deve interessare tutto il sistema produttivo. Il governo si limita a definire una lista di “oggetti” che potranno godere dell’ammortamento: quello che interessa è lavorare sugli asset della produzione. Inoltre, da non sottovalutare, il fatto che per la prima volta si mette il capitale umano al centro del piano.

Il ministro Calenda ha spiegato che il sistema dei bandi va in pensione perché in quel modo le imprese non spendono come dovrebbero. Non si rischia, però, di incappare in un sistema di finanziamenti a pioggia?

Il rischio non esiste, in primo luogo perché non si sono identificate le filiere produttive e poi perché la leva fiscale non è un obbligo dell’imprenditore ma una scelta che potrà mettere in atto quando meglio crede, anche dal punto di vista dei tempi: non sono previste finestre temporali per la leva fiscale. Si tratta di scelte che impediranno sia le distorsioni che finora hanno prodotto i bandi sia quelle degli incentivi a pioggia. E poi si inaugura un nuovo approccio trust tra Stato e imprese: lo Stato crea le condizioni per innovare e le imprese, in autonomia, decidono di investire dove e quando.

Industria 4.0 è una sfida Paese che riguarda soprattutto le Pmi, architrave del nostro sistema produttivo ma storicamente resistenti all’innovazione. E stando ai numeri di Federmeccanica sono addirittura meno sensibili al digitale rispetto alle micromprese. Cosa cambierà con il piano del governo?

Il sistema di incentivi fiscali, di credito di imposta e superammortamenti sono destinati a tutte le imprese, Pmi comprese. Sono previste detrazioni fiscali fino al 30% per gli investimenti fino a un milione di euro in Pmi innovative, agevolazioni su investimenti a medio-lungo termine e iniziative come acceleratori di imprese focalizzate, ancora una volta, sui temi dello smart manufacturing. Però certamente c’è un ostacolo culturale da superare: i dati dell’Osservatorio del Polimi rilevano che ben il 34% delle piccole e medie aziende non hanno mai sentito parlare di Industria 4.0

E allora?

Un ruolo chiave lo giocheranno le associazioni di categoria che dovranno mettere in campo grandi strategie di formazione e informazione per sostenere le Pmi. Con una attenzione particolare ai manager che dovranno tenere le redini della trasformazione digitale.

Il piano prevede la creazione di pochi e selezionati competence center a supporto dell’attività delle imprese. Si sono sollevate polemiche sul fatto che non è stata adottata una strategia che coinvolgesse tutti gli atenei. Si profila un rischio divario nelle attività di ricerca e sviluppo degli atenei?

Assolutamente no. E spiego perché: Industria 4.0 è un piano industriale e non di finanziamento al sistema universitario quindi non ci saranno atenei di serie A, finanziati con risorse ad hoc, e atenei di serie B, senza fondi. Inoltre quei competence center – per ora sono sei ma sono destinati ad aumentare – funzioneranno come hub nazionali e le loro attività di ricerca andranno a beneficio di tutte le imprese interessate allo smart manufacturing. Rispetto alle competenze, l’obiettivo è avere 200 mila studenti e 3 mila manager specializzati sui temi dell’Industria 4.0, raddoppiando il numero degli iscritti agli istituti tecnici superiori focalizzati su questo verticale. E’ evidente che per raggiungere questi obiettivi sarà necessario lo sforzo di tutto il sistema scolastico e universitario italiano non solo degli atenei fin qui selezionati. E le università, tutte, potranno usufruire dle cerdito di imposta al 50% sulla ricerca. Ecco perché dico che non ci sarà rischio gap digitale. Il piano Industria 4.0 è stato pensato come strategia-Paese che non lascia indietro nessuno.

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