a Pubblica amministrazione fornisce risorse per la ricerca e per la formazione del capitale umano delle famiglie. Ricerca ed educazione scolastica sono i prerequisiti di ogni processo innovativo. Ma l’innovazione diventa fruibile, funzionante, economicamente sostenibile solo quando è fornita dalle imprese: le imprese assumono il rischio di trasformare la ricerca in innovazione e l’innovazione in prodotto. Sono le imprese che forniscono innovazione alle famiglie e alla pubblica amministrazione. L’impresa è quindi responsabile della produzione di innovazione del sistema.
La pubblica amministrazione dovrebbe garantire le condizioni perché la ricerca sia di qualità, le imprese possano investire in ricerca e innovazione, le famiglie accedano alla scuola con il risultato di dotarsi e dotare il sistema di un capitale umano sviluppato e capace di fare ricerca, innovazione, impresa e di far funzionare la pubblica amministrazione.
Ce n’è abbastanza da far tremare le vene ai polsi. Invece, secondo alcuni, la PA non deve contentarsi di questi già onerosi e degni obiettivi. A partire dalla Commissione Europea, la Pubblica amministrazione vuole anche indicare dove si deve investire e rende disponibili risorse, prelevate dalle imprese attraverso le tasse, su progetti che ritiene strategici, su progetti che ritiene “innovativi”.
Eppure numerosi studi dimostrano l’importanza crescente della “cross fertilization” della ricerca e dell’innovazione, ossia la sempre più frequente capacità delle imprese di utilizzare risultati emersi in un’area della scienza e della tecnologia, e di applicarli in modo inatteso e creativo ad altri campi di attività.
Ciò significa che non è prevedibile, non solo da parte dello Stato, ma neppure da parte dello stesso ricercatore, il potenziale di applicazioni della sua ricerca. E quindi l’indirizzo dall’alto di dove investire e quanto investire in ricerca e innovazione è un esercizio del potere di prelievo fiscale, ma non un esercizio di indirizzo sulla ricerca e l’innovazione.
Gli imprenditori che fanno ricerca, soprattutto se le aziende sono di media e piccola dimensione, non registrano le spese di ricerca come tali, ma le “spesano” nei costi: in questo modo le deducono immediatamente e subito, senza ammortizzarle.
Mentre può essere utile ammortizzarle per le società quotate, che hanno bilanci sotto gli occhi dei risparmiatori e degli investitori finanziari. Anche questo spiega come mai in Italia – paese di piccole e medie imprese non quotate e sottocapitalizzate – le spese di ricerca sono così basse: stanno in un altro capitolo di bilancio.
Serve un “ecosistema per l’innovazione”: occorre una manutenzione di alcune fondamentali norme che regolano lo sviluppo dei servizi digitali nella nostra società. Sono le norme sulla sicurezza dei dati, sulla tutela della privacy, sulla valorizzazione dei beni culturali (Ronchey), sull’accesso ad Internet. Di queste solo l’ultima è nata dopo la nascita di internet (perlomeno dell’internet 2.0 di massa) le altre sono precedenti.
La tutela del diritto di immagine della Ronchey è stata definita prima che l’internet 2.0 rendesse disponibili online le immagini, la musica, i filmati nei più diversi formati: non poteva quindi prevedere quella pluralità di soluzioni economiche e contrattuali che l’espansione del web rende necessarie. Si tratta solo di un esempio di ciò che lo stato deve fare per favorire l’innovazione: creare mercati eliminando limiti e barriere all’ingresso.
D’altra parte l’innovazione arriva nella PA attraverso questo processo creativo di apertura di opportunità: è l’impresa che porta l’innovazione nell’amministrazione. Essa deve avere capacità di assorbire innovazione, non di farla, né di guidarla, né di pianificarla, ma di favorirla con quel contesto di mercato che rende più facile e conveniente fare nuova impresa. Quindi lo stato non ha un ruolo diretto nell’innovazione? No, non lo deve avere, deve far funzionare le istituzioni e le regole che garantiscono i mercati, tutelano e rendono facile l’investimento, aiutano l’assunzione di chiare responsabilità e l’assunzione dei rischi.
Lo stato ha un ruolo decisivo sull’innovazione del sistema, un ruolo di garanzia. Se il ruolo dello Stato rimanesse solo indiretto – obietteranno i sostenitori dell’interventismo – i tempi sarebbero lunghi. Invece no, oggi la dicotomia tempi brevi/tempi lunghi non c’è più, mentre sono rimasti i tempi lunghi e le difficoltà di correzione degli errori tipici dell’interventismo statale.