IL REPORT

Innovazione, Italia al palo: ecco 4 azioni chiave per la svolta



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Il Global Innosystem Index di Ambrosetti colloca il nostro Paese al 24° posto: pesa la mancanza di risorse per R&S e di competenze digitali. Singapore, Israele ed Estonia sul podio

Pubblicato il 31 mag 2024



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L’Italia continua a essere tra gli ultimi Paesi al mondo per quanto riguarda lo sviluppo dell’ecosistema dell’innovazione, con un notevole ritardo rispetto a Paesi come Regno Unito, Svizzera, Germania e Francia. È quanto emerge dal Teha – Global Innosystem Index 2024, contenuto all’interno dell’InnoTech Report realizzato dalla InnoTech Community di The European House – Ambrosetti e presentato nel corso del Technology Forum 2024 che si è svolto a Stresa il 30-31 maggio. L’indice ha confrontato 37 Paesi ad alta performance innovativa, ampliando il campione d’indagine che, nell’edizione 2023, aveva valutato 22 Paesi.

Singapore fa il suo esordio nella nuova, più ampia classifica, con un punteggio di 5,41 (su una scala da 1 a 10), seguono poi Israele (5,21) ed Estonia (5,17). Rispetto al Teha-GII 2020 (indicatore ricalcolato per consentire di fare un confronto rispetto all’evoluzione del posizionamento di ciascun paese alla luce dei nuovi indicatori considerati), Singapore conferma il proprio posizionamento di leadership a livello mondiale. Israele guadagna una posizione, mentre l’Estonia ne perde una.

Anche in questo scenario più ampio, l’Italia si colloca nella parte più bassa della classifica, risultando 24ª con 3,19 punti e perdendo una posizione rispetto al 2020, dove era 23ª con 3,57 punti.

Il nostro Paese ancora fanalino di coda

Il confronto tra il nostro Paese e le variabili input (ossia le variabili che valutano la presenza degli elementi abilitanti dei processi di innovazione) configura un quadro fortemente negativo che rappresenta un’Italia nelle retrovie dell’innovazione: 32ª per l’innovazione dell’ecosistema e 28ª per capitale umano, si classifica leggermente meglio, 24ª, per lo sviluppo di un ecosistema attrattivo, confermando la carenza rilevata già nel 2023. Infine, per risorse finanziarie a supporto dell’innovazione, il nostro paese si colloca al 22° posto. L’unica variabile che dà fiducia è rappresentata dall’efficacia dell’innovazione dell’ecosistema (variabile di output, che valuta la capacità di un paese di generare innovazione), per cui l’Italia scala la classifica fino al 10° posto per la produzione di nuove idee e per il loro impatto economico.

I gap a livello regionale

Anche quest’anno, il Teha – Regional Innosystem Index (Arii) esegue una valutazione delle performance degli ecosistemi innovativi di 242 regioni europee, aggiungendo tre nuovi indicatori alla valutazione rispetto agli otto del 2023. I Kpi sono stati raggruppati in quattro categorie: sviluppo economico, capitale umano, talento per l’innovazione e infrastrutture digitali e tecnologie, per un totale di 31.944 osservazioni.

Dall’analisi emerge che la Lombardia è la prima tra le regioni italiane a guidare l’innovazione, guadagnando quattro posizioni nella classifica europea rispetto al 2020 (nel 2024 si posiziona in 39ª posizione). La Provincia Autonoma di Trento, invece, perde due posizioni passando dalla 46ª alla 48ª posizione, seguita dalla regione Lazio (49ª) che guadagna una posizione.

L’Emilia-Romagna, al contrario, scivola di 10 posizioni classificandosi 76ª, non varia, invece, il trend negativo di Basilicata (179ª), Sicilia (180ª) e Calabria (191ª).

In generale, le Regioni italiane continuano a collocarsi molto al di sotto delle top 10 regioni classificate in quasi tutti gli indicatori di performance considerati. Gli aspetti da migliorare su cui l’Italia dimostra ancora grandi difficoltà riguardano l’ambito educativo e lavorativo: la percentuale di persone che possiedono un titolo di studio Stem, la percentuale di soggetti impiegati nell’ambito della ricerca, il numero di lavoratori nel campo della scienza e tecnologia, oltre a considerare un maggiore stanziamento di risorse a sostegno delle attività di ricerca e sviluppo.

Molto bene invece le università italiane, che contano la presenza di 11 di queste nella top 100 europea. Positivi i segnali anche rispetto al numero di domande di brevetto depositate, per la prima volta l’Italia supera quota 5.000 con una crescita del 38% nella decade 2014-2023 (dai 3.649 del 2014 ai 5.053 del 2023). Risultati positivi per l’Italia anche nel tasso di successo dei brevetti di applicazione, che si colloca al 5° posto nelle top 25 country a livello mondiale.

Perché l’Italia non riesce a farsi strada nel percorso di innovazione

Nonostante la capacità creativa nel fare innovazione, l’indagine di quest’anno fotografa l’Italia come Paese che fatica a evolvere nel campo dell’innovazione: nonostante gli sforzi impiegati, permane una grande disparità con altre regioni europee.

L’analisi dei risultati Teha-GII ha identificato quattro aree su cui l’Italia deve prestare attenzione per aumentare la sua capacità innovativa.

In primis il capitale umano. Nonostante l’Italia si classifichi al 12° posto per numero di ricercatori, i laureati nelle materie Stem sono ancora una quota contenuta (21,1% rispetto al numero totale dei laureati) rispetto ad altre nazioni come la Germania, in cui le Stem rappresentano il 35%. Investimenti maggiori verso il settore dell’educazione sono altresì necessari per aumentare la dimensione di capitale umano, proprio come fa la Svezia, che alloca il 61,7% di risorse in più rispetto all’Italia. La stessa disparità tra le due nazioni si rileva anche nella percentuale di adulti che possiedono competenze base nell’ambito digitale.

La seconda area critica è rappresentata dalle risorse messe in campo per le attività di ricerca e sviluppo. L’Italia, in 25ª posizione, è lontana non solo dai primi in classifica, ma anche da Belgio, Svezia e Austria, le nazioni europee più performanti. · Volendo fare un paragone con il Regno Unito, la Nazione investe il triplo dell’Italia nella Ricerca e Sviluppo e 38 volte di più nel finanziamento del capitale di rischio.

Le nuove aziende e gli “unicorni” rappresentano un’altra criticità su cui in Italia occorre investire maggiori risorse: nel 2024 è 19ª con un punteggio di 3,0 sulla quantità di nuove aziende ogni mille abitanti. Questo dato, rispetto all’Estonia, leader della classifica, è 8 volte minore; inoltre, a livello italiano, ci sono solo tre startup che sono state valutate più di un miliardo nell’ultima decade.

Infine, l’ultima area critica è rappresentata dall’attrattività del Paese. Solo una piccola parte del flusso netto in entrata nel Paese deriva dagli investimenti diretti esteri; al contempo solo una piccola percentuale dei prodotti esportati sono di tipo tecnologico, il 184% in meno rispetto a Singapore, leader della classifica.

L’ecosistema dell’innovazione: quattro azioni chiave per promuoverlo

Nel Rapporto, la classifica data dal Teha – Global Innosystem Index e i risultati dell’indagine condotta da The European House – Ambrosetti su un campione selezionato di top manager di aziende italiane e internazionali hanno permesso di sviluppare quattro proposte per contribuire a dare una spinta all’innovazione in Italia.

La prima ha a che fare con la massimizzazione degli investimenti in ricerca e sviluppo. In Italia solo l’1,45% del Pil viene allocato per la ricerca, il budget che deriva dal settore pubblico è ancora troppo limitato (1,18% è destinato alla Ricerca e Sviluppo) e, nonostante i ricercatori italiani siano i secondi più premiati in Europa dai bandi di eccellenza Erc, l’Italia slitta al quarto posto tra i Paesi che ospitano i programmi di ricerca premiati. Per massimizzare gli investimenti è necessario allinearsi quantomeno al 3% di spesa in rapporto al Pil, target definito dall’Unione europea e che l’Italia non ha ancora raggiunto. Inoltre, occorre migliorare i finanziamenti e l’accesso agli incentivi per le imprese che investono in innovazione e tecnologie, stimolando in particolare gli investimenti in beni immateriali previsti dal piano Transizione 4.0. Infine, finanziare e creare programmi di ricerca di lungo periodo permette di rendere il sistema di ricerca nazionale più attraente e minimizzare la fuga di cervelli.

In secondo luogo, è necessario migliorare i processi di trasferimento tecnologico e rendere l’Italia un paese per “unicorni”. Nel 2023, infatti, gli investimenti dedicati a startup e scaleup sono sensibilmente diminuiti, passando da 23,7 miliardi di euro a 8,2 miliardi di euro. Sono nati solo tre “unicorni” su un totale di 109 in Europa e i Technology Transfer Offices, che giocano un fondamentale ruolo nell’innovazione, sono ancora sottodimensionati. Il nostro Paese deve introdurre meccanismi che permettano di ridurre il divario tra ricerca e sviluppo per sviluppare progetti che soddisfino i bisogni del mercato.

C’è poi il tema dello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Sebbene l’Italia si collochi al 28° posto con solo 0,03 iniziative pubbliche di AI ogni 10mila abitanti e presenti uno squilibrio negativo tra domanda e offerta di talenti nell’ambito tecnologico, la presidenza italiana del G7 rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese. Sfruttando questa opportunità, l’Italia potrà guidare lo sviluppo di modelli di governance che rispettino i principi di fiducia, sicurezza e trasparenza. Contestualmente, è necessario migliorare l’educazione Stem e supportare l’uso dell’AI nelle aziende, allineandoci con la media europea.

Bisogna infine lanciare un new deal delle competenze per creare una società sostenibile e digitale. Oltre la metà delle aziende italiane ha difficoltà a reperire risorse con adeguate skill e la percentuale di laureati Stem è solo del 21,1% rispetto al totale dei laureati. Inoltre, si stima che l’Italia abbia bisogno di formare oltre 2 milioni di dipendenti con competenze digitali di base entro il 2026 per stare al passo con le esigenze del mercato. È fondamentale che vengano definiti nuovi programmi per l’insegnamento delle competenze digitali lungo tutto il percorso di formazione e che vengano rafforzati corsi digitali ad hoc negli Istituti Tecnici Superiori, in particolare quelli che permettono agli studenti di lavorare con i dati, essenziali per la specializzazione nelle professioni della Data Economy. Nelle Università bisogna potenziare le lauree professionalizzanti anche prevedendo nuovi percorsi di studio con elementi legati alla transizione digitale ed ecologica, mentre nel mondo del lavoro serve definire meccanismi di aggiornamento continuo delle competenze dei lavoratori.

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