Che cos’è un’impresa bionica? E’ questa la domanda cui ha cercato di dare risposta l’ultimo studio di Boston consulting group (Bcg), dal titolo “How bionic companies translate digital maturity into performance”. E la ricetta che emerge è un mix ben bilanciato: 10% di algoritmi, 20% di tecnologia e informatica, 70% di attività industriale e capitale umano.
In sostanza, si definiscono “bioniche” quelle società in grado di integrare intelligenza umana e artificiale in un’organizzazione più efficiente, produttiva e innovativa. Il possesso di questa abilità conferiva un vantaggio competitivo formidabile già in passato, ma dopo la crisi pandemica potrà realmente determinare il successo o il declino di un’azienda. Le compagnie di questo genere hanno infatti tendenza a sfruttare le proprie superiori capacità per espandersi nei settori industriali adiacenti, a danno dei concorrenti più arretrati.
Asia e digitale alla base dell’identikit
Secondo la definizione di Bcg, “bionica” è in particolare quell’impresa che dimostra di essere “digitalmente matura”, ovvero che ottiene un punteggio alto nell’Indice di accelerazione digitale (Dai) elaborato dalla società di consulenza. Questo indice valuta il livello di digitalizzazione delle aziende su una scala da 1 a 4 in 35 categorie differenti: le aziende con un Dai da 0 a 43 sono classificate come “ritardatarie”, mentre le aziende con un punteggio da 67 a 100 sono “campioni digitali”.
E sarebbero proprio queste le imprese “bioniche”, società che esistono in tutti i settori economici e in tutte le regioni del mondo, ma si concentrano nel digitale e in Asia. In Cina, in particolare, la spinta delle realtà tecnologiche sta trascinando nell’era bionica tutti i comparti industriali del Paese: dalla finanza alla sanità, dalla manifattura alle assicurazioni. L’Europa, invece, ha compiuto progressi, specie nelle telecomunicazioni, ma rimane in ritardo nella digitalizzazione della pubblica amministrazione. Stagnanti, invece, i risultati degli Stati Uniti: qui i grandi colossi tecnologici, per esempio, hanno in media 20 punti Dai in più delle imprese con un giro d’affari annuo entro i 50 milioni di dollari. “La buona notizia – fa notare Bcg – è però che anche le aziende considerate ritardatarie, hanno delineato una strategia per recuperare il distacco”.
Più competitività e minori costi operativi
Essere un’impresa “bionica” paga: secondo Bcg, le compagnie di questo tipo sbaragliano la concorrenza. L’analisi dimostra infatti che negli ultimi tre anni le imprese bioniche hanno aumentato il loro ebitda a un tasso 1,8 volte superiore ai ritardatari, speso 1,5 volte di più in ricerca e sviluppo e quindi accresciuto la propria valutazione a un ritmo più che doppio.
I risultati sono figli di una precisa strategia di investimento. Circa metà delle compagnie bioniche dedica oltre il 15% delle spese operative al digitale, in particolare a tecnologie, dati e sicurezza informatica, e assegna a tali ruoli una quota simile di dipendenti formati per acquisire competenze innovative e per sperimentare modalità agili di organizzazione del lavoro. Sono così riuscite a trasformare digitalmente almeno il 25% dei loro processi di produzione e a tagliare del 5% i costi operativi, contro il 14% e l’1% rispettivamente ottenuto dai ritardatari. In questo modo le imprese bioniche hanno liberato risorse per aggredire nuovi settori: il 61% genera un decimo o più del proprio fatturato da business adiacenti a quello caratteristico. Fonti di ricavi molto preziose in caso di interruzioni improvvise delle attività, come accaduto durante la pandemia.
Un’arma contro la crisi pandemica
Lo studio dimostra inoltre che le compagnie che dedicano all’Ia oltre il 15% della forza-lavoro digitale – le cosiddette super-bioniche – hanno ottime chance di ottenere un risultato operativo superiore al 10% e di mantenerlo anche in caso di crisi profonde quale quella pandemica. Merito in parte del controllo in tempo reale della catena di fornitori, in parte delle soluzioni innovative adottate per mantenere la relazione con i clienti, in parte della capacità di riservare al capitale umano solo le attività ad alto valore aggiunto. Tutto ciò è reso possibile dall’intelligenza artificiale, indispensabile per trasformare i processi produttivi, liberare la manodopera dai compiti ripetitivi ed estrarre il meglio dai dati industriali raccolti.