La stagione che stiamo vivendo non può dirsi tra le più serene e felici degli ultimi decenni. I fatti di Parigi, Bruxelles, Beirut, Damasco, per citare solo alcuni tra i teatri più infuocati del globo, recano grande preoccupazione e generano diffusi sentimenti di orrore. In questi casi, non serve meravigliarsi del fatto che gli slogan populisti e le semplificazioni giuridico – giornalistiche salgono immediatamente alla ribalta. Ed ecco che da più parti si evoca la guerra e si incita ad armarsi. Escono allo scoperto gli irresponsabili che invocano con serioso paternalismo una riduzione necessaria degli spazi di libertà individuale a favore di maggiore sicurezza per tutti, dimenticando che è dai tempi di Silla e Caio Mario che l’annichilimento della democrazia e dei diritti sono sempre e soltanto una conseguenza del modo errato di accogliere e trattare le emergenze collettive. Nessuna ulteriore certezza per la sicurezza si guadagna riducendo gli spazi di libertà. Al contrario, instituendo lo stato di polizia, l’unico risultato garantito è spingere l’acceleratore dell’odio, della discriminazione e della fine di ogni forma di libertà.
La nostra Costituzione, e come essa molte delle altre che caratterizzano l’ossatura delle democrazie occidentali, è costruita intorno a delicati meccanismi di bilanciamento continuo di interessi contrapposti. Le libertà fondamentali, tra cui quella della segretezza della corrispondenza e della libertà di circolazione, trovano nella doppia riserva di legge e di giurisdizione il più alto momento di comprensione e bilanciamento delle esigenze collettive rispetto agli interessi individuali.
E’ dunque già ampiamente previsto che in determinate circostanze, per motivi ad esempio di prevenzione e repressione di reati, per ordine di autorità, il godimento di diritti e libertà fondamentali possa essere compresso per il tempo necessario. Talvolta, anzi, il problema è quello di rispettare i parametri di congruità e proporzionalità di tale compressione, onde evitare abusi ad esempio sull’uso delle intercettazioni. E’ la legge – il codice penale, il codice privacy e il codice di procedura penale – a stabilire tempi e modalità di tale compressione.
Da decenni è già questo l’andamento normale della dialettica democratica che permette di godere dei diritti fondamentali senza mai sacrificare le esigenze di sicurezza collettive e l’azione della polizia e della magistratura inquirente e giudicante. Dunque perché continuare ad evocare la rinuncia alle libertà come ricetta contro il terrorismo? La risposta non è semplice.
Tra le libertà che si vorrebbe sopra tutte e prima di tutte sacrificare sugli altari della sicurezza, viene posta la privacy. I meccanismi di circolazione dei dati personali tengono già ampiamente e diffusamente conto di tutti quei casi in cui il trattamento del dato è giustificato dalla necessità di far valere o difendere un diritto. Il codice privacy e con esso i provvedimenti del Garante già prevedono ampie aree di esenzione dai meccanismi del consenso e dalle altre garanzie previste dalla legge per i trattamenti ordinari, ogni qual volta l’uso dei dati è giustificato da finalità di investigazione preventiva e continuativa effettuata da organi dello Stato a ciò preposti. Non servono altre misure.
Ciò che manca non sono le informazioni, quanto piuttosto occorre saperle leggere in maniera appropriata. E’ l’intelligence assieme al fattore umano a fare la differenza nella lotta al terrorismo e non già la pesca a strascico dei dati e la restrizione delle libertà fondamentali.
La questione assume dunque più un carattere culturale, di awarness, di crescita del senso di responsabilità e di appartenenza a una comunità di cittadini orgogliosi dei propri diritti e delle proprie libertà. Libertà che dall’uso corretto delle nuove tecnologie e di Internet devono uscire rafforzate e non indebolite.
Bene ha fatto il presidente Renzi a porre l’accento con forza sulla necessità di incrementare gli investimenti in sicurezza e soprattutto in cybersecurity, ma al tempo stesso non mancando di sottolineare la necessità di aumentare di egual misura l’impegno dello Stato nel proteggere, nel valorizzare e nell’andare orgogliosi della nostra cultura.