IL LIBRO

Intelligenza artificiale, da Empoli: “Sfida italiana è perlopiù organizzativa”

Il presidente di I-Com nel suo nuovo libro “Intelligenza artificiale: ultima chiamata. Il Sistema Italia alla prova del futuro” analizza l’impatto reale sulla competitività del nostro Paese. “Un’occasione storica, ma istituzioni, imprese e società civile sono chiamate a nuova responsabilità”

Pubblicato il 10 Ott 2019

Copertina Intelligenza artificiale ultima chiamata

Intelligenza artificiale: ultima chiamata. Il Sistema Italia alla prova del futuro” è il titoo del nuovo libro scritto dal presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com) Stefano da Empoli (Bocconi editore) uscito oggi in libreria.

Ecco un estratto per i lettori di Corcom

“La principale sfida per le aziende che vogliono adottare l’AI non è tanto tecnologica e tutto sommato neppure economica (neanche per quelle piccole e medie che costituiscono la gran parte dell’universo delle imprese italiane). La prima difficoltà da affrontare è di carattere organizzativo. Secondo Boston Consulting, se le imprese vogliono trarre reali benefici dall’AI, devono puntare soprattutto su due elementi: velocità decisionale e team orizzontali rispetto alle diverse divisioni dell’azienda. Caratteristiche che si addicono poco, secondo i risultati della ricerca, al modello aziendale tedesco, criticato per la rigidità e l’eccessiva compartimentalizzazione.

Laddove invece l’AI è una tecnologia sia radicale sia pervasiva e dunque deve trovare un terreno di recepimento all’interno delle organizzazioni molto ampio sia in senso verticale sia orizzontale. Per fare in modo che ogni aspetto della vita aziendale possa essere ottimizzato grazie alla sua sofisticata capacità cognitiva. Per cultura e dimensione, le aziende italiane possono sfruttare il vantaggio competitivo di avere una maggiore flessibilità interna, in particolare quelle piccole e medie, che dispongono di una struttura burocratica più snella. In questo senso sono assolutamente in grado di adattare il proprio modello aziendale in tempi molto più rapidi e con modalità trasversali alle diverse funzioni. Ad aiutare questo processo potrebbe tornare insospettabilmente utile quella che viene comunemente percepita come una peculiarità negativa del modello italiano: non tanto l’elevata presenza di aziende familiari, quanto la capillare occupazione da parte della proprietà delle posizioni manageriali di vertice. È evidente che dirigenti della famiglia proprietaria con competenze sbagliate o insufficienti continueranno a far danni, con o senza AI. Ma l’unità del team manageriale, la visione di medio-lungo termine e la snellezza decisionale, che non deve passare attraverso lo sforzo di dover persuadere una pluralità eterogenea di interlocutori interni o esterni all’azienda, sono pregi potenzialmente enormi di fronte alle esigenze di rapida e pervasiva implementazione dell’AI. Questo purché, questioni finanziarie a parte, si superino due problemi rilevanti, specie per organizzazioni più piccole: competenze digitali e procedure interne.

Sul primo punto, inizialmente occorre assicurarsi che i decisori aziendali abbiano almeno le skill di base per capire i potenziali benefici dell’AI rispetto alle attività di back office e di front office della propria impresa. Naturalmente, la valutazione di dettaglio dovrà essere affidata a un team esperto o a consulenti esterni. Come spesso accade, specie per le piccole imprese, saranno gli stessi vendor o consulenti informatici a fornire in molti casi un apporto decisivo di conoscenze. L’importante è che i dirigenti aziendali siano in grado di istituire un dialogo e di pensare in maniera pro-attiva alle possibili applicazioni dell’AI.

Discorso analogo per la fase di implementazione: non la si può delegare in toto all’esterno ma è indispensabile un coinvolgimento di chi poi dovrà usare l’AI a supporto delle decisioni aziendali. Questo richiede non solo competenze digitali ma anche un complesso di procedure adeguato ad assicurare sia un processo top-down sia uno bottom-up, che appare almeno altrettanto importante.

Infatti, un’elevata flessibilità interna non sarà una caratteristica vincente solo nel momento dell’attuazione iniziale dell’AI nei processi aziendali, ma risulterà essenziale anche successivamente, soprattutto per assicurare un’AI davvero a misura di azienda e delle sue esigenze, con un periodo di finetuning necessario per una tecnologia così radicale. Inoltre, un alto grado di flessibilità sarà indispensabile anche in seguito a una naturale evoluzione sia dei bisogni sia delle tecnologie adatte a soddisfarli con cicli di innovazione che sono destinati a ridursi di molto.

Senza nasconderci dietro un dito, una questione fondamentale da affrontare con coraggio è quella del passaggio generazionale o comunque più in generale della necessità di abbassare l’età anagrafica dei capi azienda e del top management delle aziende (e possibilmente di aumentare la partecipazione femminile). Nel 2016, su circa un milione di amministratori nelle società di capitali in Italia, meno del 10% aveva un’età inferiore ai 35 anni (e oltre il 75% era di sesso maschile). Pensare che la grande trasformazione portata dall’AI e dalle tecnologie collegate possa compiersi con l’attuale distribuzione anagrafica e di genere (con la prima destinata a peggiorare in caso di inerzia) appare quanto mai improbabile.

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