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Intelligenza artificiale, nelle aziende italiane poca visione di business e scarse basi tecnologiche



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Solo 1 impresa su 4 ha adottato piani di sviluppo per implementare la tecnologia nei processi aziendali. A frenare l’adozione il deficit di competenze e di professionisti specializzati e la mancanza di fattori IT abilitanti. La fotografia dal centro Clio della Luiss Guido Carli e Minsait

Pubblicato il 17 mag 2024

Federica Meta

Giornalista



intelligenza artificiale

Dalla conoscenza dei trend di mercato tramite analisi predittive, al decision making e all’automazione di attività e di processi di routine, fino ai servizi alle persone e all’ottimizzazione delle risorse: sono solo alcuni degli ambiti in cui i modelli di Intelligenza Artificiale possono trasformare i modelli di business delle imprese. La rivoluzione AI è già in atto eppure in Italia le imprese hanno ancora molta strada da fare. A scattare la fotografia uno studio Minsait-Luiss.

La ricerca

La ricerca “Intelligenza Artificiale in Italia – La rivoluzione che sta cambiando il business”” analizza il grado di adozione delle nuove tecnologie da parte delle aziende italiane, fornendo un quadro delle motivazioni che spingono a investire nel settore, degli ostacoli che ne frenano una più ampia diffusione nel panorama nazionale nonché delle principali aree in cui l’AI sta già contribuendo al loro business. L’analisi dei dati raccolti da oltre 500 realtà ha messo in evidenza come solo il 22% disponga di un piano di sviluppo sull’AI, coerente con le strategie aziendali.

“La maggior parte delle imprese non sa ancora come applicare l’Intelligenza Artificiale nello sviluppo del proprio business, né ha piani di integrazione di questa tecnologia. In molti casi, non esiste nemmeno una solida base tecnologica a supporto di un’implementazione agile dell’AI”, spiega Pedro García, Ad di Minsait in Italia.

I dati italiani

Il mondo dell’impresa italiana si dice comunque consapevole dell’importanza della sfida per guidare e sfruttare appieno il contributo della tecnologia. Il 52% delle aziende intervistate ha già lanciato progetti sull’AI: con l’obiettivo di guidare le iniziative correlate per evolvere verso modelli data based. Lungi dal sostituire la versione tradizionale, dove c’è ancora molto valore da sfruttare, l’AI generativa è diventata anche il moltiplicatore per la diffusione di casi d’uso e per accelerare il suo ingresso nelle aziende.

È l’efficienza operativa la motivazione principale (25%) alla base dell’applicazione dei nuovi modelli all’interno delle aziende italiane, come leva per migliorare la propria competitività, seguita dalla volontà di consolidare l’esperienza dei clienti e dei cittadini con cui interagiscono (20%). Solo il 13% utilizza le tecniche di AI per scopi più dirompenti, come la trasformazione del modello di business e/o dell’offerta di prodotti e servizi.

La tipologia di sistemi utilizzati

Le imprese mostrano un particolare interesse per l’utilizzo dei modelli basati sull’AI nel settore legale (50%), focalizzati in particolare su una vasta gestione e analisi documentale, nell’area marketing e vendite (45%), ma anche in ambito Information Tecnology (IT) ed Environmental, Social & Governance (Esg) con circa il 45% di use case AI utilizzati in entrambi i contesti. Oggi, infatti, l’AI può supportare le Direzioni IT sia per quanto riguarda i tool di scrittura di codice sia per la gestione dell’infrastruttura e la sicurezza informatica, mentre nell’ESG può contribuire a realizzare sistemi con maggiori performance e livelli più sofisticati di monitoring.

I fattori che rallentano l’adozione

Ma quali sono i fattori che rallentano l’implementazione delle nuove tecniche? Principalmente il deficit di competenze e di professionisti specializzati nell’AI (19%) e la mancanza di fattori tecnologici abilitanti (16%). Non sorprende, dunque, che le figure del Ricercatore dell’AI e del Data Scientist siano le più ambite sul mercato del lavoro: tra le aziende che hanno realizzato programmi specifici, tre su quattro dichiarano di essere alla ricerca di questi talenti. “L’impatto pervasivo delle nuove tecnologie sul tessuto economico e sociale deve essere conosciuto a fondo affinché queste possano essere applicate al meglio. La Luiss è impegnata nello sviluppo di programmi di educazione e ricerca, in un’ottica interdisciplinare, per formare i talenti del futuro, capaci di fungere da abilitatori per le imprese e di rispondere con competenza e agilità alle esigenze del business”, osserva Irene Finocchi, Advisor del Rettore per la Trasformazione Digitale e Direttrice del Corso di Studi Triennale in Management and Artificial Intelligence dell’Università Luiss.

Il nodo infrastrutturale

A prescindere dalle dimensioni delle organizzazioni, il 65% non possiede ancora un’infrastruttura tecnologica adeguata, con l’eccezione del settore bancario, dove l’80% delle società è già fortemente abilitata. Tra le imprese più “infrastrutturate”, vi è una netta preferenza nel conservare i dati market sensitive “in casa”, limitandosi a infrastrutture “ibride” senza trasferirli completamente su cloud pubblico. Alla base di queste scelte, c’è l’esigenza di controllo dei propri dati e forse anche la mancanza di fiducia nell’affidarli a servizi esterni: più del 95% delle aziende ha infrastrutture on-premise – gestite attraverso reti locali – oppure ibride.

L’Intelligenza Artificiale, e in particolare l’AI generativa, richiede un costante aggiornamento sulle normative applicabili e linee guida e principi chiari per facilitarne lo sviluppo, l’utilizzo e l’implementazione. Tuttavia, il 60% delle aziende intervistate per lo studio Minsait-Luiss ammette di non avere una corretta conoscenza del quadro legislativo e il 13% ne teme l’instabilità. La recente approvazione dell’AI Act da parte dell’Unione europea rappresenta un primo, serio, intervento per bilanciare opportunità e innovazione, per gestire i rischi e le principali sfide legate all’introduzione delle nuove tecnologie. Una AI responsabile però non può essere solo un compito del legislator e della regolamentazione: la responsabilità è comune e richiede una forte partnership pubblico-privata tra sistema delle imprese, mondo accademico, società civile e istituzioni pubbliche.

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