Non ci sono viaggiatori ad occhi chiusi, in questa nostra era digitale: tutti li abbiamo sempre aperti su uno screen. Eppure non guardiamo né ci poniamo quesiti di fronte a questi mezzi che, presenti in ogni minuto, dilagano nella vita. “Rete padrona” di Federico Rampini, Feltrinelli 2014, 18 euro, è un libro per aprire gli occhi. La cosa meno riuscita, il titolo scalfariano (e turaniano), evoca a istanza di 50 anni un déjà vu che ogni riga nega, perché in realtà nulla di ciò cui assistiamo si era mai visto: le grandi compagnie che gestiscono l’accesso ai contenuti della rete, da Google a Facebook, da Apple a Twitter.
Un esempio: “Viviamo in una cultura 25/7, la gente si aspetta sempre una risposta. Anche se è sabato, anche se sono le due del mattino… Non esistono vacanze. È la schiavitù”. Detto da un capo progetto di Google la considerazione acquista un aspro sapore di autenticità. Memorabile la lavata di capo fatta al governo Usa da Zuckerberg: “Quando i nostri ingegneri lavorano instancabilmente per migliorare la sicurezza degli utenti, pensano di doverci proteggere contro i criminali, non contro il governo Usa. Il nostro governo dovrebbe essere il difensore di internet, non una minaccia”. Ma l’autore ci invita a diffidare di questa protesta, alzata da chi usa le informazioni degli utenti per riempirli di pubblicità mirata. Può darsi – dico io – che questa protesta sia piaciuta alle autorità dei governi di Russia e Paesi Arabi, che alla World Internet Conference di Wuzhen, in Cina, hanno reclamato una governance infragovernativa, o, peggio ancora, una evoluzione come “rete delle reti”, ossia la balcanizzazione di ciò che adesso pensiamo sia Internet. Va detto – è mia opinione non espressa dall’autore – che il governo americano è esecrabile per lo spionaggio effettuato. Ma non dimentichiamoci mai il particolare decisivo: il governo Usa possiamo scoprirlo, denunciarlo e criticarlo, mentre gli altri governi, anch’essi dediti al cyber spying, non possono essere scoperti, denunciati, criticati.
“Rete padrona” è ricco dei paradossi utili a scuotere le certezze: quando illustra come si possa negare, con un’attività di massa sulla rete, la strage di 20 bambini in una scuola di Newtown, Rampini richiama il mondo della caccia alle streghe, reinterpretato sul set di internet con un annullamento della realtà, al fine di difendere il libero acquisto di armi. Chi non ricorda Insider di Michael Mann, dove Al Pacino e Russell Crowe combattono la manipolazione da parte delle multinazionali del tabacco per celare gli effetti del fumo e nascondere il pushing dei produttori? “Rete padrona” ci fa riflettere anche sulle ridicole pretese del diritto all’oblio, figlie di una visione che contribuisce non ad aprire, ma a chiudere, come temeva Orwell, l’occhio della critica.