“Non c’è futuro di Internet al di fuori di un’intesa tra Usa ed Europa. In fondo condividiamo gli stessi valori, e l’idea di Internet come uno spazio di libertà e opportunità”. A parlare, alla vigilia del Consiglio Ue sulle tlc, di cui è il presidente di turno, è Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Comunicazioni, rientrato in Italia da un viaggio in Usa dove ha incontrato l’amministrazione Obama, l’Icann e la Federal Communications Commission.
Qual è il bilancio di questa missione?
A Washington la nostra scelta di dedicare il Consiglio informale delle telecomunicazioni alla governance di Internet non è passata inosservata ed è stata apprezzata. La decisione dell’Europa di parlare con una voce sola, poi, ha rappresentato una sorpresa positiva: gli Stati Uniti sono abituati a pensare ai 28 come a una confraternita vivace e un po’ rissosa e invece si sono trovati di fronte alla volontà europea di sedersi in modo unitario al tavolo sulla nuova governance di Icann. Il processo è appena avviato: gli Usa sono legittimamente “gelosi” della loro tradizionale sovranità sulla Rete, ma anche in Europa qualcuno ancora pensa di poterne affidarne il controllo all’Itu e ai governi. Il punto di sintesi è l’evoluzione di Icann verso un modello multistakeholder aperto e trasparente, con una accountability rivista rispetto alla quale l’interlocutore non possa essere solo l’amministrazione Usa.
Sulla net neutrality è in atto negli Stati Uniti una vera e propria guerra tra Casa Bianca e telco, che stringono “a tenaglia” la Fcc. Che idea si è fatto di questa questione?
Sono arrivato a Washington in una settimana un po’ “calda”, ci abbiamo anche scherzato sopra con Lawrence Strickling dell’amministrazione Usa e con Ajit Pai della Fcc. In effetti oggi gli Usa sono divisi sulla Net neutrality, anche se tutti in realtà – anche le società di telecomunicazioni – sottolineano l’importanza del principio di una Rete uguale per tutti. Il tema è se e quanto debba essere regolamentata e il riferimento al Title II del presidente Obama è diventata per le telco la pietra dello scandalo. La Net neutrality rappresenta la questione fondamentale per capire come si evolverà la Rete nei prossimi 10-20 anni, anche se in Italia si stenta a capirlo. Non ho avuto confidenze o rivelazioni particolari, ma vedo confermata la mia convinzione che la Fcc potesse prendere tempo e rinviare la decisione: personalmente ho registrato una certa curiosità verso l’impostazione che potremmo adottare in Europa. D’altra parte il tema è comune e la Rete è la stessa: mi sembra difficile immaginare risposte diverse.
Quali sono i punti di contatto e le principali differenze su questi argomenti tra ciò che succede in Usa e la situazione italiana ed europea?
Non credo esistano distanze abissali. Obama ha paragonato l’accesso a Internet a un servizio pubblico essenziale, da noi anche il parlamento europeo non ha escluso i cosiddetti “servizi specializzati”. Per quanto mi riguarda il punto è che le corsie preferenziali non devono penalizzare le altre e che tutti devono contribuire allo sviluppo della Rete, non solo chi investe sulle reti di telecomunicazione. Il futuro di Internet non può essere lasciato solo agli accordi commerciali tra grandi colossi delle telecomunicazioni e gli Over the top: si rischia di alzare barriere all’entrata ai nuovi entranti e di fermare l’innovazione che è sempre stata il motore di Internet, la sua spinta propulsiva.
L’Internet governance è entrata nell’agenda europea anche grazie all’iniziativa del Governo italiano. Ma quanto siamo ancora lontani dall’Europa con una voce sola?
Il mio viaggio a Washington in rappresentanza del Consiglio dell’Ue per le telecomunicazioni dimostra che il primo obiettivo è già stato raggiunto. Il punto non è tanto di avere due o tre poltrone nella commissione che scriverà le nuove regole o di spostare la sede di Icann a Roma o Parigi, ma di fissare delle regole di accountability e di funzionamento della comunità multistakeholder davvero aperte, trasparenti ed efficaci. La questione dei domini .wine e .vin ha comprensibilmente lasciato qualche strascico in Europa e cresce la diffidenza verso lo strapotere degli Over the top, in particolare di Google. Anch’io vedo certi problemi ma l’approccio dev’essere quello del dialogo per superarli. Il caso Snowden, poi, non ha aiutato a rasserenare i rapporti. Ma, ripeto, non c’è futuro di Internet al di fuori di un’intesa con gli Stati Uniti e dell’integrazione tra i due modelli.
Qual è l’obiettivo che pensa possa essere raggiunto durante il semestre di turno italiano di presisenza Ue?
Avere guidato l’Europa in modo unitario al tavolo della nuova governance di Internet è già un primo risultato: non era scontato. Poi, nelle prossime settimane, vediamo quali punti di sintesi riusciremo a raggiungere sulla direttiva Nis sulla sicurezza delle reti, che la visita al quartier generale di At&t in New Jersey mi ha confermato essere una questione centrale, e sul pacchetto Tsm. Non siamo interessati a intese al ribasso. Inoltre abbiamo firmato il regolamento eIdas sulla firma elettronica unica a livello europeo e impostato il lavoro sulla web accessibility: un tema di civiltà. Mi lasci dire che, in ogni caso, il mercato digitale unico europeo è solo un primo passo ma ancora insufficiente: la visita negli Stati Uniti mi ha confermato che la vera frontiera sono i Big Data e su questo l’Europa è ancora molto indietro: se non vogliamo farci schiacciare da Stati Uniti e Cina dobbiamo accelerare e darci un modello per utilizzare al meglio, in modo rapido ed efficiente, il petrolio del presente e del futuro.
Il ministro Boschi ha annunciato durante un question time alla Camera che il Governo vuole aumentare il fondo per i risarcimenti alle emittenti tv che lasceranno le frequenze intereferenziali con l’estero. Da dove attingerete i fondi?
Sì, vorremmo aumentare le risorse per gli indennizzi alle emittenti, ma il problema vero è favorire ogni iniziativa che consenta alle tv locali di liberare volontariamente le frequenze, per esempio incentivando la nascita di società consortili. Per questo abbiamo aperto online, sul sito del ministero, una consultazione sulle nuove misure. Il punto di partenza, però, è che sullo spettro vorremmo riportare l’Italia nella legalità internazionale e chiudere la lunga stagione delle lettere riservate e degli accordi sottobanco. Questa gestione dello spettro, che è sembrata ispirata alla migliore tradizione della commedia all’italiana, mette a rischio prima di tutto le tv locali oltreché a minare la credibilità del paese. Noi striamo provando ad aprire un’altra fase.
Sul canone per le frequenze Tv pare assodato che si procederà per un altro anno con le vecchie regole. Che problemi comporterà questo rinvio?
Ho già annunciato in Commissione di Vigilanza che nel 2015 le norme di legge sui canoni delle frequenze saranno cambiate per essere adeguate al passaggio dall’analogico al digitale. Per il 2014 dobbiamo tenere insieme i richiami della Commissione europea, la necessità di garantire la “parità di gettito” per lo stato di cui parla la legge e l’esigenza di non gravare in modo eccessivo e iniquo sugli operatori di rete. La mia idea era di procedere con una norma transitoria: mi pare che ci siano perplessità da approfondire sul piano giuridico, per questo abbiamo posto il problema alla Presidenza del Consiglio e al ministero dell’Economia.