Nel mondo avanzano, dietro le quinte, colossali accordi Iot (o M2M) tra telco e vendor di ogni tipo. È un fatto nuovo, per la storia dell’Ict, e si sta sviluppando con grande velocità e lontano dai riflettori del grande pubblico. A tal punto che ora anche le autorità vogliono vederci chiaro, temendo il rischio della nascita di nuovi monopoli. Agcom lo scrive in una recente indagine conoscitiva, da cui nascerà a breve un tavolo congiunto con l’Antitrust, per analizzare le dinamiche dell’Iot e la natura di questi accordi internazionali, tecnicamente noti come di permanent roaming.
Produttori di auto, di gadget, di apparati di smart home fanno accordi di roaming permanente con gli operatori, affinché le sim- che connettono gli oggettii- funzioneranno alle stesse condizioni in tutto il mondo. È Vodafone il principale operatore al mondo (al secondo posto AT&T) per numero di connessioni di questo tipo: 21,5 milioni, a marzo 2015, secondo uno studio pubblicato a giugno da Analysys Mason. Succede insomma che l’utente può trovarsi nelle mani un oggetto dotato di sim su cui non ha affatto controllo. Sono messi in crisi sia i principi classici di antitrust sia la disciplina sui diritti dei consumatori. “Tale situazione può determinare rischi di market preemption e technology lock-in e comportare difficoltà di entrata nel mercato, per gli operatori più deboli nella competizione globale”, si legge nell’indagine Agcom. Le normali reti pubbliche sono al momento inadeguate per questi servizi, “in considerazione delle specifiche esigenze tecniche richieste dalla domanda”. L’Autorità fa un lungo elenco dei problemi tecnici inediti che derivano dal M2M. “La rete deve gestire efficientemente il carico di segnalazione in relazione all’effettivo livello di traffico utile scambiato”. “La direzione è principalmente uplink nell’M2M, mentre nel caso del traffico per l’utente convenzionale la direzione è soprattutto di tipo downlink”. “Occorre gestire migliaia di terminali per stazione radio per consentire l’efficienza economica”. Non solo: ci sono anche motivi economici che giustificano l’esistenza degli accordi, a causa dei limitati valori di redditività per unità connessa. “Alcuni modelli M2M richiedono l’erogazione di servizi in modo coerente a livello mondiale, tra cui la possibilità di rendere operative le risorse di produzione in modo centralizzato. Un modello di distribuzione frammentata basato su sim distribuite nei diversi paesi, richiederebbe l’impiego di numerose interfacce di gestione con i diversi operatori con rilevante complessità tecnica per il fornitore del servizio”.
Tutto congiura insomma a favore di accordi globali, per “reti ed architetture ad hoc alternative alle reti pubbliche, basate su piattaforme proprietarie chiuse e non in grado di interoperare”. Per di più, talvolta usano modalità trasmissive non convenzionali e su frequenze non licenziate, rendendo ancora più difficile per il regolatore tutelare utenti e i principi di neutralità della rete. La soluzione non è in vista, ma certo passerà da una collaborazione tra autorità diverse – Agcom e Antitrust – e di diversi Paesi a livello (almeno) europeo. Secondo l’indagine Agcom, il terreno del dibattito potrebbe essere la normativa Digital Single Market, ora discussa dalle istituzioni Ue, visto che parla di roaming e di neutralità della rete.
Manlio Costantini, direttore divisione Enterprise di Vodafone Italia, dice al nostro giornale che “si auspica regole chiare, che però non ostacolino lo sviluppo del mercato”. Sulla stessa linea Claudio Contini, presidente di Telecom Italia Digital Solutions: chiede “un quadro regolatorio stabile, per favorire economie di scala del mercato unico europeo e gli investimenti; riconoscendo le differenti esigente, sia in ambito tariffario sia privacy, del roaming M2M rispetto a quello riferito alle persone”.