Airbnb, app per chi offre e domanda camere e appartamenti in affitto, penetra nel mercato degli alberghi, con conseguenze su prezzi, qualità e controlli. Opporsi come fanno i tassisti con Uber è una battaglia di retroguardia. L’unica risposta è accompagnare il cambiamento con una buona regolazione.
Vedo, quindi tratto
Le piattaforme internet hanno reso osservabile, e quindi contrattabile, ciò che prima era nascosto: passaggi auto da condividere, camere da affittare, pranzi, disponibilità a fare le pulizie o altri lavoretti. L’hanno chiamata sharing economy, ma è l’economia degli asset dormienti, che vale quasi l’1 per cento del Pil.
La tecnologia permette un enorme effetto leva sulla domanda/offerta, trasformando piccole reti informali di persone in gigantesche reti sociali in simultanea possibilità di comunicare e scambiare. Chi presidia le piattaforme da cui passano gli scambi ha un forte potere di mercato e costituisce una minaccia per chi produce e vende attraverso i canali tradizionali della comunicazione vis à vis o telefonica.
La sfida di Airbnb agli hotel
Una delle sfide più calde nella cosiddetta sharing economy è nella accoglienza: gli hotel sono sotto attacco di Airbnb, una app che in più di 34mila città mette in contatto domanda e offerta di camere, appartamenti, ville, trattenendo una commissione sul prezzo. Nel 2015 su Airbnb sono state prenotate 1.750.000 notti, più di Hilton. A New York, la piattaforma prenota una camera su sei. Alcune stime le danno un valore di borsa di circa 25 miliardi di dollari e fatturato a 10 miliardi di dollari nel 2020.
Un fattore di successo di Airbnb – e delle piattaforme in generale – è la bassa intensità di capitale: Airbnb non possiede case e hotel, così come Uber e Blablacar non possiedono un parco macchine e Gnammo non ha ristoranti.
Anche le piattaforme leggere, tuttavia, hanno i loro problemi: uno dei principali è il tentativo di accordi diretti fra chi offre e chi domanda, bypassando la piattaforma. Airbnb impedisce di scrivere numeri di telefono nelle chat on line, ma basta scrivere “sette” invece di 7 ed ecco che il cliente può telefonare direttamente all’affittacamere e Airbnb perde la commissione sul contratto (attorno al 15 per cento).
La regolazione
Chi si sente minacciato da Airbnb, Uber, Blablacar ha un argomento ricorrente: non rispettano le regole. Che accadrebbe se Uber dovesse riclassificare gli autisti come dipendenti (stipendi arretrati, contributi), come è già successo in due stati Usa e se Airbnb dovesse adeguarsi agli standard di salute e sicurezza richiesti agli hotel?
La cosiddetta sharing economy presenta due problemi di regolazione: uno relativo ai servizi in sé e un altro relativo alle piattaforme. In particolare, la regolazione delle piattaforme è costretta a inseguirne la alta dinamicità, che le fa cambiare nel giro di pochi anni, mentre alberghi, taxi e autobus sono più o meno quelli di cinquant’anni fa.
Uber aspetta una sentenza della Corte europea di giustizia (attesa per l’autunno 2016) che stabilisca se deve essere trattata come una compagnia di trasporti o un servizio digitale. Blablacar ha già vinto il primo round contro le compagnia di trasporto pubblico locale a Madrid.
Le motivazioni su cui si fonda l’esigenza di regolare un mercato sono molteplici, nel caso della ospitalità alberghiera sono centrali le esigenze di sicurezza (incendio, alimenti, prodotti) e protezione del consumatore (prodotto che corrisponde a ciò che il venditore promette).
Nella regolazione, la non osservabilità del comportamento dei regolati è sempre stata un ostacolo e un costo. Le app hanno quasi azzerato il costo del controllo: nel caso di Airbnb parliamo di pulizia delle camere, cortesia, puntualità, corrispondenza del servizio a quanto annunciato. Inoltre, la simultaneità della pubblicazione dei giudizi incrociati fra ospiti e proprietari impedisce giochi strategici di reputazione. L’economia degli asset dormienti ha fatto risvegliare, oltre alle merci e ai servizi, anche la self regulation. Ma siccome l’autoregolazione non basta, il parlamento italiano ha in discussione una proposta di legge per tutto il settore.
Aspetti fiscali
In attesa di una probabile regolazione complessiva, sul fronte fiscale, quello più caldo, la strada maestra è già stata intrapresa da molte città: a Firenze l’accordo con Airbnb prevede di portare 10 milioni di euro nelle casse comunali.
Rispetto agli hotel, che spendono solo il 30-35 per cento in salari locali, gli incassi di un host Airbnb (circa 85 per cento del prezzo pagato dal cliente) restano all’economia locale, e sono fiscalmente più attraenti di quelli di un albergo. Ciò non ha impedito che alcune città (San Francisco, Amsterdam) abbiano posto un tetto alla offerta annuale massima che un host Airbnb può mettere sul mercato, con parziale gioia degli albergatori.
Per Airbnb, e per molti altri casi di economia innovativa, si può dire con Douglass North che le istituzioni e la regolazione che accompagnano il cambiamento favoriscono lo sviluppo economico: il resto, probabilmente, è battaglia di retroguardia.
*Articolo pubblicato su Lavoce.info