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Investimenti Ict 2025, in Italia l’intelligenza artificiale al terzo posto



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Sarà fra le principali aree di spesa dopo cybersecurity e business intelligence anche se i budget delle aziende saranno in calo. Sono le pmi a mettere sul piatto la maggior parte delle risorse

Pubblicato il 6 dic 2024



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Le aziende italiane continuano ad investire nel digitale, settore ritenuto essenziale per mantenere competitività. Tra le organizzazioni più strutturate, la spesa digitale si concentra come da diversi anni su sistemi di CyberSecurity (57%) e soluzioni di Business Intelligence e visualizzazione dati, ma quest’anno al terzo posto salgono le soluzioni di Artificial Intelligence, Cognitive Computing e Machine Learning, su cui investirà in modo prioritario il 43% delle aziende, in grande crescita proprio come quelle di Generative AI, al quinto posto con il 39%. Tra le pmi, al primo posto c’è la Cybersecurity (31%), poi la migrazione e gestione Cloud (25%), le applicazioni e tecnologie di Industria 4.0 (24%).

Lo afferma la ricerca degli Osservatori Startup Thinking e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano, secondo cui, in generale, per il 2025 si prevede un aumento dell’1,5% dei budget in Ict delle imprese, in linea con il trend degli ultimi nove anni, seppur con un tasso di crescita leggermente inferiore rispetto al 2023 (+1,9%). Alla crescita contribuiscono in particolare le piccole (+3,7%) e medie imprese (+4%), mentre sono più stabili le grandi.

Innovazione leva principale per solo per il 5% delle big

In quasi tutte le grandi imprese (92%) l’innovazione digitale è ormai presente nel Piano Strategico, ma solo nel 5% dei casi ne è la leva principale. Poco più della metà (56%) ha formalizzato una strategia dedicata al digitale e nel 38% dei casi è stata condivisa in modo diffuso all’intera organizzazione. Solo l’8% delle imprese ha definito metriche consolidate per valutare in modo completo l’impatto delle attività di innovazione digitale. Principalmente si misurano input e output economici e nel medio-breve periodo. Sono ancora poco diffuse misurazioni sull’impatto del digitale nell’arricchimento della cultura aziendale, nella diffusione di competenze o know-how di business, che possono definire in modo più completo il contributo nel lungo periodo.

Nel 2024 l’88% delle grandi aziende italiane ricorre a pratiche di innovazione aperta. Se i principali stimoli per l’innovazione delle organizzazioni sono ancora interni (le Funzioni aziendali per il 37% e il Top Management per il 32%), è in atto uno spostamento verso fonti esterne e il rimescolamento tra queste. Le startup sono sempre più protagoniste, utilizzate come fonti di innovazione esterna dal 27% delle aziende, dopo università e centri di ricerca (31%), società di consulenza (31%), vendor e sourcer ICT (27%). Quasi metà delle grandi aziende italiane oggi ha avviato una qualche collaborazione con startup innovative da più di tre anni.

Necessario guardare agli effetti di lungo periodo

“In un clima caratterizzato da cautela e crescita limitata, le aziende italiane confermano l’intenzione di investire nel digitale, per identificare soluzioni alle sfide in atto e cogliere nuove opportunità di business – afferma Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking del Politecnico di Milano –. Imprese e startup devono oggi entrare in una nuova fase nella valorizzazione strategica dell’innovazione, spostando il focus dalla pura sperimentazione alla generazione di impatto. Per una piena trasformazione, però, è necessario passare da un modello che guarda principalmente i risultati economici di breve periodo, a uno che valuti anche gli effetti di medio lungo periodo tenendo conto anche dell’impatto sulle competenze, la cultura e l’agilità organizzativa.”.

I ruoli dell’innovazione

Cresce la spinta verso modelli diffusi nella gestione dell’innovazione. Il 39% delle imprese ha una “Direzione Innovazione” interna, ma sono sempre di più quelle che hanno scelto un approccio trasversale e di cultura diffusa: quasi due aziende su tre hanno definito figure di Innovation Champion (44% dei casi), provenienti da linee di business o altre Funzioni incaricate di coordinare l’innovazione con la Direzione Innovazione.

Le principali sfide nella gestione dell’innovazione digitale per le imprese sono la necessità di integrare lo sviluppo dell’innovazione con i bisogni delle Business Unit (45%) e la ricerca di coordinamento con le Funzioni di business per mettere in produzione le innovazioni (42%).  Poi c’è la difficoltà nell’ingaggiare in modo efficace la popolazione aziendale nelle attività di innovazione (38%) e ancora la capacità di definire meccanismi efficaci per misurare l’impatto dell’innovazione digitale in azienda.

“Chi all’interno dell’azienda deve valorizzare l’innovazione si trova spesso a fronteggiare una scarsa apertura al cambiamento ed una limitata capacità di comprenderne appieno i potenziali benefici, con il rischio di non far avanzare idee e progetti oltre alle fasi di sperimentazione e test – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy -. Per ingaggiare la popolazione aziendale, le imprese più mature ricorrono in modo sempre più frequente ad azioni di Corporate Entrepreneurship, volte a stimolare la nascita e la diffusione di approcci imprenditoriali all’interno dell’organizzazione. Questo avviene attivando percorsi di formazione e sensibilizzazione rispetto a tematiche e metodologie di lavoro innovative. La sola formazione, però, rischia di essere inutile se non adeguatamente accompagnata da percorsi pratici volti a favorire una più concreta sperimentazione di competenze, metodologie e approcci appresi in contesti sicuri”.

L’Open Innovation

Nel 2024 l’88% delle grandi aziende italiane adotta iniziative di Open Innovation, confermando il trend positivo di costante aumento negli anni. La percentuale arriva al 98% se consideriamo le grandissime aziende con oltre 1000 dipendenti. La crescita è più lenta e contenuta invece per le pmi, tra cui il 31% fa Open Innovation. Le iniziative più adottate sono quelle Inbound, che internalizzano innovazione nata all’esterno, e in particolare collaborazioni con università (72%), scouting di startup (59%), hackathon e contest (30% e 32%). Tra le strategie Outbound, invece, per valorizzare le innovazioni nate internamente e sviluppate all’esterno, le più diffuse sono la creazione di piattaforme digitali (22%), le joint-venture (21%) e il Corporate Venture Building (12%) che, ispirato agli startup studio, guadagna interesse tra le imprese.

Solo il 28% delle aziende ha un budget dedicato all’Open Innovation che copre tutte le attività sviluppate in questo ambito, mentre circa un terzo delle aziende non dispone di un budget dedicato e, al momento, non prevede di introdurlo, segnalando un margine significativo per migliorare la competitività e l’apertura a pratiche innovative. L’Open Innovation si conferma una risorsa essenziale principalmente per esplorare nuovi trend tecnologici (64%) e identificare opportunità di business (44%), mentre è ancora marginale il contributo identificato sui benefici economici.

“Nei prossimi tre anni, le aziende prevedono sempre maggiore attenzione a fonti esterne e di innovazione e in particolare, è destinato a crescere il ruolo delle startup – afferma Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Thinking -. Lo spostamento di focus verso fonti esterne e diversificate indica una tendenza verso una maggiore apertura e collaborazione con l’ecosistema esterno, in logica Open Innovation, segnalando una volontà delle aziende di integrare nuove idee e tecnologie per rispondere in modo più dinamico alle sfide del mercato”.

Aziende e startup

Oggi il 48% delle grandi aziende collabora con startup da più di tre anni, coinvolte come fornitori spot (49%) o partner per co-creare prodotti e servizi (47%), a dimostrazione di una certa flessibilità e capacità di adattamento delle aziende nel valorizzare le competenze e le soluzioni innovative di queste realtà. Solo l’8% delle pmi invece collabora con startup o intende farlo nel prossimo futuro e il 71% non ha interesse o non considera questa possibilità al momento: dati che suggeriscono come molte imprese non percepiscano ancora chiaramente le opportunità di queste relazioni.

Open innovation e sostenibilità

L’Open Innovation è sempre più rilevante anche per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Circa il 56% delle aziende collabora con università e centri di ricerca per promuovere progetti sostenibili e il 46% collabora direttamente con startup. Questo approccio indica una crescente integrazione tra innovazione e sostenibilità, spingendo le aziende a ricercare soluzioni che abbiano un impatto positivo sia sul mercato sia sulla società.

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