RAPPORTO

Istat, digitale leva di crescita per l’Italia: ma le aziende a “forte innovazione” sono solo una su tre

Rapporto sulla competitività dei settori produttivi: produttività al di sotto della media Ue, ma gli incentivi del piano Industria 4.0 stanno spingendo gli investimenti. Occupazione più alta con l’adozione di strategie Ict. Si rafforza la banda ultralarga che ora raggiunge un quarto delle imprese, ma si amplia il divario tra Pmi e grandi aziende

Pubblicato il 23 Mar 2018

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La digital transformation fa ancora fatica a trainare la crescita del Sistema Italia. Ma là dove viene affrontata spinge produttività, investimenti e occupazione. Emerge dalla sesta edizione del Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi, secondo cui il sistema “ha ancora molta strada da percorrere nella rincorsa alla rivoluzione digitale”: due terzi delle imprese sono “indifferenti” alla digitalizzazione dei processi produttivi e le imprese “digitali compiute” (alto capitale e alta digitalizzazione) sono solo il 3%. Uno scenario che impatta sulla produttività del Paese: dal secondo trimestre 2013 al quarto 2017 l’Italia ha registrato un tasso di crescita congiunturale pari in media a +0,2% (contro lo 0,4% dell’Uem), gli investimenti sono cresciuti a un tasso medio dello 0,5%, contro lo 0,9% dell’Ue. Inoltre emerge un divario rilevante sia sul fronte dell’utilizzo uso del web che della velocità di connessione.”Complessivamente – fa notare l’istituto –  le analisi descrivono un sistema produttivo in transizione, con segnali di recupero sempre più estesi. Nell’ultimo biennio, la ripresa ha beneficiato di una dinamica più sostenuta degli investimenti fissi lordi, dopo il sostanziale ristagno del 2014-2015″.

Infatti nel periodo 2016-2018, dopo il ristagno del biennio precedente, la ripresa ha beneficiato di una dinamica più sostenuta degli investimenti anche se rispetto ai principali Paesi dell’Ue economica e monetaria (Germania, Francia, Spagna), la ripresa si è manifestata “più tardi e con una dinamica più debole, soprattutto a causa del modesto andamento delle componenti che dovrebbero trainarla: i consumi finali e gli investimenti”. L’istituto di statistica evidenzia che uno dei principali fattori di freno agli investimenti “è la diversa dinamica dei processi di accumulazione di capitale materiale e immateriale: mentre il contributo degli investimenti in macchinari è in linea con quelli tedesco e francese (sia pure con maggiori sussidi alla spesa), il peso degli investimenti in capitale immateriale è minore e il loro contributo alla crescita più modesto.

In particolare nel triennio 2014-2016 il 48,7% delle aziende italiane di industria e servizi di mercato con almeno 10 addetti ha svolto attività innovative. Di queste, il 30,3% sono “Innovatori forti” (innovano prodotti e processi); quasi il 25% “Innovatori di prodotto” (ma non di processo); il 18,5 per cento “Innovatori di processo” (ma non di prodotto); circa il 22% “Innovatori soft” (innovano solo l’organizzazione o il marketing); il 4,9% “Potenziali innovatori” (hanno svolto attività innovative che non si sono tradotte in innovazioni). Gli innovatori sono in aumento rispetto al 2012-2014. Nella manifattura prevalgono gli Innovatori di prodotto; nei servizi gli Innovatori “soft”.

Ruolo forte, secondo le aziende italiane, delle misure introdotte dal piano Industria 4.0 per la ripresa degli investimenti. Secondo Istat il super ammortamento ha svolto un ruolo ”molto” o ”abbastanza” rilevante nella decisione di investire nel 2017 per il 62,1% delle imprese manifatturiere, l’iper ammortamento per il 47,6% (53,0% nelle medie imprese, 57,6% delle grandi); il credito d’imposta per spese in R&S è stato ritenuto rilevante dal 40,8% delle imprese. Le spese in software sono previste per il 2018 dal 45,8% delle imprese mentre il 32% comprerà tecnologie di comunicazione M2M o Internet of things, il 27% connessione ad alta velocità (cloud, mobile, big data ecc.) e sicurezza informatica.

Rispetto ai principali paesi dell’Unione economica e monetaria, il ritmo di accumulazione di capitale è per ancora limitato e l’Italia sconta anche “un divario rilevante soprattutto nell’uso del web e nella velocità di connessione a Internet”. La ripresa, spiega l’Istat, si è riflessa anche in un aumento dell’occupazione, sul quale hanno influito l’agevolazione contributiva e il contratto a tutele crescenti.

Il fronte banda ultralarga si rafforza: tra il 2012 e il 2017 è passata dal 10 al 24% delle imprese, ma si amplia il divario tra Pmi e grandi imprese. Il 63% delle aziende è ancora a bassa digitalizzazione (per lo più piccole, di settori tradizionali e costruzioni, con sede al Centro-Sud), il 32% a media, il 5% ad alta (soprattutto medio-grandi di elettronica, bevande, Tlc, alloggio, informatica).

Nonostante la scarsa “propensione” al digitale nel triennio 2014-2016 quasi la metà delle aziende italiane di industria e servizi di mercato con almeno 10 addetti ha svolto attività innovative e il 30,3% sono “Innovatori forti” (innovano prodotti e processi); quasi il 25% “Innovatori di prodotto” (ma non di processo); il 18,5% “Innovatori di processo” (ma non di prodotto); circa il 22% ‘Innovatori soft’ (innovano solo l’organizzazione o il marketing); il 4,9% “Potenziali innovatori” (hanno svolto attività innovative che non si sono tradotte in innovazioni). La quota di innovatori è in aumento rispetto al 2012-2014. Il sistema produttivo italiano, sostiene l’istituto di statistica, ha un potenziale di trasmissione dell’innovazione di prodotto superiore a quello di processo.

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