«Facciamo avvenire le cose nei prossimi 36 mesi. Non di più. Si può fare. Non trinceriamoci dietro falsi problemi. Siamo entrati in una fase nuova e decisiva e ora dobbiamo capitalizzare, facendo leva da un lato sulle best practice e dall’altro sulla consapevolezza raggiunta». È da quando si è insediato al vertice di Confindustria Digitale, nel 2014, che Elio Catania porta alta la bandiera dell’execution. Una parola chiave sui cui si gioca l’innovazione del Sistema Italia. E non a caso il neo ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e il neo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia hanno acceso i riflettori proprio sull’execution. “Le parole di Calenda sono musica per noi: nel suo primo intervento il ministro ha evidenziato l’importanza della trasformazione digitale. E anche da Boccia è arrivata una nota più che positiva, a dimostrazione di quanto il digitale sia salito di priorità”.
Presidente Catania, quando il digitale entrerà nel dna del nostro Paese?
Metterei alle spalle il primo obiettivo che ci eravamo dati, creare consapevolezza sul tema dell’innovazione attraverso il digitale. Un obiettivo importante che solo fino a poco tempo fa non si poteva dare affatto per scontato. Ora è necessario puntare su tre grandi obiettivi e portarli a compimento di qui ai prossimi 24-36 mesi: “iniettare” il digitale all’interno dei cda, diffondere l’innovazione fra le Pmi e procedere senza incertezze nella trasformazione digitale della PA.
Vuol dire che nei cda scarseggia la propensione all’innovazione?
Il nostro obiettivo è fare in modo che in ogni cda entri in “quota” il digitale ossia ci sia almeno una competenza digitale, qualcuno che sia capace di stimolare la discussione sul tema. Il digitale rappresenta la chiave per la sopravvivenza di medio periodo. Oggi digitale e capacità competitiva non sono dissociabili. Abbiamo visto troppe imprese sparire dal mercato all’improvviso attaccate da concorrenti che nessuno si immaginava potessero presentarsi. Imprese in cui è scomparso un terzo del giro d’affari in pochi mesi eroso da nuovi attori che senza legacy e costi storici di struttura hanno agguantato intere fette di clientela. Quindi il tema deve entrare di forza nella board room. Questa è la prima leva dell’execution. E vale per aziende e istituzioni, per tutte le organizzazioni.
Le Pmi continuano a restare al palo?
Il secondo grande tema è proprio quello delle pmi. Ho proposto, e ho trovato terreno fertile prima con Squinzi e ora con il nuovo presidente Boccia, di lanciare un grande progetto industriale, il cui titolo è “Trasformazione competitiva digitale”. Ci siamo dati impegni interni al sistema e puntiamo a mettere a punto proposte di politica industriale. Il progetto, completato lo studio, è già entrato nella fase di roll out e vede coinvolte diverse associazioni territoriali e federazioni. L’obiettivo è definire azioni specifiche per fare in modo che imprese e filiere abbraccino la digitalizzazione e si allineino almeno ai livelli europei. In Italia le imprese cosiddette altamente digitalizzate sono solo il 10%. Quindi c’è un 90% di potenziale crescita e sviluppo. Per una Pmi il digitale vale 10 punti in più di incremento di fatturato, 6 punti di margine e 5 di export. Ci vuole una sensibilizzazione a tappeto.
Cosa farete in concreto?
Investiremo nei territori attraverso Digital Innovation Hub facendo leva sugli ecosistemi e le iniziative già esistenti, ma oggi scoordinati. Attraverso l’iniezione di competenze specialistiche all’interno delle piccole imprese vogliamo supportare gli imprenditori nei processi di trasformazione. Chiederemo poi che le politiche di sostegno del governo siano ancor più incisive nei confronti di tutti gli aspetti che facilitano la trasformazione digitale e l’economia. Mi riferisco alla tecno Sabatini, ai voucher per l’innovazione, alla defiscalizzazione degli investimenti in digitale. Finora su questo siamo stati troppo timidi. Le nostre proposte graviteranno anche intorno alla formazione per far fronte alle nuove competenze richieste oggi dalle imprese facendo leva su istituti tecnici e università.
Poi resta il nodo PA.
Plaudiamo alla Riforma del governo, come già detto più volte. Ma bisogna dirottare gli sforzi sulla semplificazione delle piattaforme. È questa la terza sfida. Come filiera siamo disponibili a collaborare in maniera più intensa con la PA per lo sviluppo dei progetti. Il partenariato è una modalità per assicurare il successo e formule nuove possono essere perseguite. Non potremo mai parlare di vera riforma della PA senza una trasformazione radicale. Ma anche in questo caso è il vertice, i ministri a doverla porre come priorità. Spesso si è travolti da urgenze tattiche che seppur molto importanti non aiutano a sviluppare i nuovi modelli di servizio della PA. La sharing economy, ad esempio, non riguarda solo il noleggio auto o l’affitto delle case. È una filosofia di apertura, di condivisione, di ottimizzazione delle risorse, che la PA deve, e sottolineo deve, sposare.