Nuovo governo, “vecchi” dossier digitali. L’esecutivo Lega-5 Stelle si troverà a gestire una serie di programmi strategici per l’Italia digitale. Sfumata l’idea di nominare un ministro per il Digitale, la partita più complessa la dovrà giocare la ministra per la Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, che sovrintenderà il roll-out del Piano Triennale dell’informatica nella PA, elaborato da Agid insieme al Team Digitale di Diego Piacentini. Sul tavolo la spinosa questione della diffusione e penetrazione di Spid che, pur essendo utilizzato da oltre 2 milioni di cittadini utilizzatori e da 3.866 amministrazioni che offrono la possibilità di autenticarsi attraverso il sistema, ha subito una battuta d’arresto. Bongiorno dovrà trovare la quadra su come rilanciare l’identità digitale, anche tenuto conto che Spid sarà uno dei primi sistemi “transfrontalieri” e dunque riconosciuto dalle PA europee.
Altro progetto chiave da presidiare è Anpr: l’intenzione del commissario Piacentini è quella di portare sulla piattaforma nazionale la metà degli italiani dopo l’estate. Un obiettivo ambizioso che però rischia di rimanere tale anche perché l’incarico di Piacentini scade proprio in quel periodo. E qui si apre anche l’annosa questione delle nomine: oltre al commissario è in scadenza anche il dg di Agid, Antonio Samaritani, che finisce il suo mandato la prossima settimana. Si tratta dunque di capire se la nuova ministra ha intenzione di continuare sulla strada tracciata dai suoi predecessori, mantenendo a loro posto i due manager, oppure cancellare tutto e pensare a una nuova governance della PA digitale. Questo se a le verranno date le deleghe all’Innovazione, altrimenti le carte in tavola cambieranno. Con un sottosegretario ad hoc la partita della PA digitale passerebbe nelle sue mani.
Progetti sfidanti anche per il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio. Il piano Industria 4.0 lanciato da Carlo Calenda ha dato ottimi sul fronte della crescita degli investimenti. Secondo il “Economic Outlook” dell’Ocse, gli investimenti privati stanno aumentando in misura consistente, proprio supportati dagli incentivi legati al piano Industria 4.0. Ecco perché le imprese chiedono di rendere strutturali gli incentivi al programma – ammortamento e super-ammortamento – e di elaborare anche una strategia ad hoc sulle competenze anche questa supportata da meccanismi di bonus o affini.
Smart city e Piano nazionale scuola digitale sono gli altri due dossier caldi, rispettivamente in capo a Danilo Toninelli, ministro alle Infrastrutture e Trasporti, e a Marco Bussetti alla guida del ministero dell’Istruzione.
Creare città intelligenti è un passaggio obbligato, che vuol dire sostenibilità ambientale, economica e sociale. Serve dunque una una progettualità e collaborazione tra industria, enti e istituzioni, con l’obiettivo comune di creare valore per il cittadino. Pur non essendoci un punto definito nel contratto dio governo, il tema delle comunità smart era cruciale nel programma elettorale del Movimento. Anzi, si parlava addirittura della realizzazione di una smart nation. Vedremo se Toninelli, pentastellato della prima ora, la ripoterà sul tavolo.
Nessun cenno al digitale nel contratto di governo anche per quel che riguarda la scuola. Che però rappresenta una leva strategica per formare i lavoratori del futuro. Bussetti che viene dall’Ufficio Scolastico regionale della Lombardia, uno dei più innovativi, lo sa bene. Tra gli addetti ai lavori c’è chi scommette che darà nuova vita al Pnsd.
Smontata la polemica sui vaccini, torna sotto i riflettori il tema degli investimenti nella Sanità, soprattutto quelli innovativi che garantiscono servizi efficienti a costi ridotto nel lungo periodo. La neo ministra Giulia Grillo dovrà fare i conti con un comparto in cui il digitale stenta ancora ad affermarsi. Come dice l’ultimo Osservatorio Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, malgrado la lieve ripresa degli investimenti, per 1,3 miliardi di euro (+2% rispetto all’anno prima) certificata nel 2017, mancano risorse disponibili e soprattutto una cultura e una visione “di sistema”. Tanto che ancora oggi 8 cittadini su dieci, ai servizi sanitari via web preferiscono il contatto diretto con il medico, l’attesa telefonica o la fila allo sportello. Con buona pace dei potenziali risparmi che si potrebbero ottenere in un Paese digitalizzato: oltre 5 miliardi di euro.
“Con il progressivo invecchiamento della popolazione il divario fra bisogni di cura e risorse è destinato a crescere e l’innovazione digitale è l’unica leva per rendere sostenibile il sistema – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio – La leggera crescita degli investimenti per la sanità digitale è una buona notizia, ma non basta. Serve un rinnovamento dei modelli organizzativi delle aziende, spostando le prestazioni dall’ospedale al territorio, e va incentivata la partecipazione dei cittadini alla corretta gestione della propria salute, tramite strumenti digitali per comunicare con il medico, per accedere ai dati clinici, ad esempio attraverso il fascicolo sanitario elettronico, e per monitorare il proprio stile di vita, con App dedicate. Ma serve anche lo sviluppo delle necessarie competenze digitali degli operatori sanitari”.