Italia digitale, il buio oltre la fibra

La banda larga è ormai ampiamente disponibile nel nostro paese, ma il suo utilizzo è inferiore alle reali potenzialità. Perché le imprese non hanno ancora acquisito le tecnologie e le competenze necessarie. Con effetti negativi sulla produttività. L’analisi di Paolo Neirotti, Emilio Paolucci e Danilo Pesce

Pubblicato il 13 Nov 2015

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La banda larga è ormai ampiamente disponibile nel nostro paese, ma il suo utilizzo è inferiore alle reali potenzialità. Perché le imprese non hanno ancora acquisito le tecnologie e le competenze necessarie. Con effetti negativi sulla produttività. Gli investimenti nella nuova banda ultra veloce.

Gli investimenti dell’Agenda digitale

L’Agenda digitale sostiene la necessità di banda larga ultra veloce per sostenere il paradigma emergente dell’Information and communication technology fondato su tecnologie come l’Internet of things, l’additive manufacturing e i big data. Tuttavia, analizzando la diffusione di tecnologie legate al corrente paradigma emerge che l’attuale infrastruttura di banda larga non è ancora utilizzata secondo le sue potenzialità.
I dati Istat (figura 1) evidenziano che il 95 per cento delle imprese italiane è coperta da banda larga fissa. Nel nostro paese non vi è di per sé un problema legato alla disponibilità dell’infrastruttura di base; esiste invece un ritardo di adozione in tutte le tecnologie applicative e, in particolare, nei sistemi di gestione delle relazioni di filiera e delle attività commerciali. Gli studi sul legame tra Ict e risultati evidenziano che queste ultime hanno un ruolo cruciale per la crescita della produttività, vista la crescente internazionalizzazione dei mercati e il ruolo dell’Ict nel rendere possibili nuove modalità di differenziazione di prodotto (Tambe e altri autori). Limitata è anche la percentuale di imprese che ha investito negli ultimi anni nello sviluppo di competenze tecniche o gestionali legate alle Ict. Sorprendentemente, i dati in figura 1 mostrano come i settori a più alta intensità di informazione non si caratterizzino per tassi di diffusione di queste tecnologie maggiori di quelli registrati nei settori più tradizionali.

Figura 1 – Diffusione delle tecnologie Ict sul tessuto economico italiano tra il 2012 e il 2014

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La conseguenza della limitata adozione delle tecnologie Ict nei settori a più alta intensità di informazione emerge da una ricerca che abbiamo condotto sui trend economici di 209 settori in Italia: in questi settori la produttività reale del lavoro tra il 2001 e il 2014 è diminuita (tasso medio annuo di crescita pari al -0,4 per cento), diversamente da quanto avvenuto negli altri principali paesi europei (figura 2). Il dato è allarmante per due motivi: in primo luogo, i settori a più alta intensità di informazione (per esempio, software, consulenza, commercio, sanità, turismo) sono quelli che possono avvantaggiarsi di più dei nuovi sviluppi delle tecnologie digitali. In secondo luogo, i settori a più alta intensità di informazione hanno un’elevata incidenza sul Pil: secondo le nostre stime, contano per il 60 per cento del valore aggiunto totale delle imprese.

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La nostra analisi mostra che il crescente divario nella crescita di produttività occorso in questi settori rispetto agli altri paesi è riconducibile a tre fenomeni, oltre alla scarsa diffusione delle Ict (What Industrial Change from ICT-based innovation? How Information Intensity has influenced Industry Dynamics in Italian Industries).
Primo, a differenza dei settori tradizionali che hanno subito un taglio netto dell’occupazione, tra il 2002 e il 2011 le imprese information intensive sono cresciute più velocemente in termini di occupazione che di ricavi. Se la crescita sull’occupazione è di per sé positiva, il fatto che sia avvenuta in un contesto di contrazione dei ricavi è in netta opposizione con le caratteristiche intrinseche dei business digitali, dove, come confermano le analisi empiriche di Brynjolfsson e McAfee (2008) sui dati dei settori statunitensi, la crescita dei ricavi avviene spesso a costi marginali pressoché nulli.
Secondo, i settori a più alta intensità di informazione riscontrano una maggiore volatilità nei profitti, come conseguenza di una competizione internazionale più aspra, che in questi comparti vede le nostre imprese fronteggiare i cosiddetti giganti del web come Google, Amazon, SAP, Apple, Booking, eBay e così via. Allo stesso risultato giunge uno studio recentemente pubblicato dal McKinsey Global Institute che mette in luce su scala internazionale un aumento dei ricavi combinato a una riduzione della redditività occorso negli ultimi anni in molti settori per via della concorrenza globale e dell’azione di distruzione creatrice delle tecnologie digitali.
Terzo, i settori ad alta intensità di informazione sono quelli dove tra 2004 e 2011 si sono registrati i maggiori divari interni nella redditività: in questi comparti le differenze tra primo e terzo quartile nella redditività del capitale investito (Roa) sono state superiori (e sono aumentate in misura maggiore) rispetto a quanto avvenuto nei settori tradizionali (figura 3). Vi è quindi un gap di risultati sempre più ampio tra le imprese che sanno impiegare le tecnologie digitali per migliorare i propri processi e modelli di business e quelle che soccombono di fronte a questa sfida manageriale.

Figura 3

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Questi risultati aprono il campo ad alcune riflessioni. I dati evidenziano che, in Italia, agli investimenti in banda larga non è seguita un’ampia diffusione di tecnologie digitali e competenze tra le imprese. E dunque è ancora su questo fattore che è necessario investire. Colmare il gap manageriale è importante almeno tanto quanto programmare i nuovi investimenti nelle infrastrutture necessari per sostenere il prossimo paradigma tecnologico.

*l’articolo si trova su lavoce.info

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