Italia digitale, l’appello di Assintel: “Pmi al centro delle strategie”

In sofferenza il 47,7% delle aziende Ict nel primo semestre 2020. E per il 67% le misure di sostegno sono marginali o inutili. L’associazione: “Servono provvedimenti che incentivino l’accesso alle tecnologie per le imprese di ogni dimensione”

Pubblicato il 26 Giu 2020

industria -digital

Fatturato stabile o in crescita per il 30% delle aziende Ict italiane nel primo semestre 2020. Ma il 47,7% subisce ripercussioni negative ben oltre il 10%. Sono i dati che emergono da un’indagine qualitativa di Assintel e che riflettono, dice l’associazione, uno scenario “in chiaroscuro” per il settore, ribadito dall’ultimo rapporto Desi. Questo perché serve accelerare, spiega Paola Generali, presidente Assintel “le infrastrutture che abilitano il digitale, ma il focus point del Governo deve essere quello di disegnare provvedimenti che incentivino il digitale facendo in modo che le tecnologie più innovative siano alla portata anche soprattutto delle micro e piccole imprese”.

“Anche quest’anno – fa sapere Assintel – siamo fra gli ultimi nell’indice che riassume i livelli complessivi di digitalizzazione dei Paesi Ue”. Nonostante l’accelerazione digitale imposta dal lockdown l’Ict italiano fatica a crescere.

Aziende insoddisfatte delle misure del governo

Il 66,7% delle aziende – si legge nel rapporto – reputa le misure di sostegno del Governo come marginali o inutili per la propria azienda, mentre il 26% non è nemmeno riuscito ad accedervi”.

Come spesso è accaduto nella storia di questo settore, sottolinea l’associazione, “l’Ict si è rimboccato le maniche e ha fatto da sé, ricorrendo in primis a Smart working, Business Development e efficientamento dei processi, con un’attenzione particolare rivolta alla ricerca di nuovi clienti e a nuovi approcci di Marketing”.

Posizione italiana nel rapporto Desi

Questi chiaroscuri si riflettono anche nel posizionamento complessivo del Desi. Il 25°posto riassume tanti ritardi e alcune eccellenze: il risultato peggiore continua ad essere relativo alle competenze digitali, dove siamo all’ultimo posto: “non ci sorprende, sono gli stessi segnali  – dice l’associazione – che rileviamo ormai da anni con l’Osservatorio delle Competenze Digitali, scontando un mix di pregiudizi culturali e ritardi nell’adeguare i programmi scolastici e universitari alle esigenze ICT delle aziende”.

Questo si riflette a cascata anche sull’utilizzo diffuso di internet (26°posto) e dei servizi pubblici digitali (19° posto), con alcune peculiarità che questo lockdown dovrebbe aver reso più evidenti. Una consistente fascia della popolazione è assolutamente in linea con il resto d’Europa rispetto all’utilizzo privato e di intrattenimento del web, mentre resta diffidente laddove il web serva per compiere azioni più “serie”, come compilare moduli online della Pubblica Amministrazione o eseguire pagamenti elettronici. Resta poi il grande tema delle micro imprese, non rilevate da questo indice, che si interseca con la poca copertura della fibra nelle tante zone più rurali e isolate del territorio: lavorare online per loro diventa una corsa ad ostacoli.

Il focus sulle Pmi – dice ancora Generali – può essere fatto grazie all’economia di scala che queste creano, rappresentando il 98% del tessuto imprenditoriale italiano. Il DESI, infatti, ci sottolinea che il Piano nazionale Impresa 4.0 ha funzionato soprattutto nelle medie e grandi imprese per l’acquisto di hardware, e questo dato denota che l’Italia è fuori dai binari della Digitalizzazione: ad oggi non è stato sostenuto il vero humus imprenditoriale che fa da tessuto connettivo e culturale del nostro Paese: vale a dire le MPMI, e l’Italia per questo ne sta pagando le conseguenze deragliando digitalmente”.

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