«Reaching out for the stars»: il titolo dato alla conferenza
tenuta dall’amministratore della Nasa, Charles
Bolden, a Roma, è ambizioso ma degno di un personaggio
che nella sua carriera di astronauta le stelle le ha viste
veramente. E che oggi in Italia tiene a ricordare che studiare lo
spazio significa “conoscere e capire meglio la nostra Terra. Per
questo continuiamo a programmare sfide sempre più difficili, come
l’esplorazione di Giove: l’Italia avrà un ruolo importante
partecipando al progetto Juno, che si propone di studiare questo
pianeta”.
Bolden, quanto conta oggi per la Nasa la collaborazione
internazionale?
Lei sa quanti uomini sono stati finora sulla Luna? Dodici. E sa di
quale nazionalità erano? Tutti americani. Questo è il passato
dell’esplorazione dello spazio: nel futuro sulla Luna, e, più in
là su Marte, forse su altri pianeti, vedremo un cinese, un russo,
un europeo, magari un italiano. La partecipazione di tutte le
nazioni non solo è frutto di uno sforzo comune verso lo stesso
obiettivo, ma vuol dire mettere insieme le risorse: tecnologie,
conoscenze, soldi. Questi progetti sono molto costosi, la Nasa da
sola non può sostenere tutto. Quanto all’Italia, attraverso
l’Asi, i suoi ricercatori, i suoi astronauti e le sue aziende, ha
un ruolo importante nelle missioni spaziali e la sua collaborazione
con la Nasa è preziosa. E segno di un’amicizia tra i nostri
Paesi che tocca tanti settori.
Ha parlato di condivisione delle risorse e degli sforzi
finanziari. Quanto pesa oggi sulla Nasa dover fare i conti con
budget ristretti?
Le ristrettezze dei budget sono una realtà per tutte le imprese
pubbliche e private in tutto il mondo. Ma la Nasa continua a
portare avanti una molteplicità di progetti: nuove missioni che
riconduranno l’uomo sulla Luna nel 2025 e su Marte per la prima
volta nel 2030, la sostituzione degli Shuttle, corsi per attrarre
giovani talenti, ricerca, sviluppo di velivoli più efficienti e
puliti e anche di un’industria spaziale commerciale, per il
trasporto di cose e persone. Il budget che il Congresso ci ha
assegnato è sufficiente per seguire tutte queste iniziative, ma il
contributo di altre nazioni e del settore privato oggi sono
necessari più che mai.
Come entra il privato nei progetti della Nasa? Non temete il
rischio di allontanarvi dai puri scopi di ricerca e di essere
costretti a piegarvi a necessità commerciali?
Il privato è sempre stato presente: la Nasa non ha mai costruito
le sue navette spaziali, ma le ha acquistate dalle aziende.
Proseguire in questa direzione è il nostro futuro e siamo già su
questa strada, se pensiamo al lanciatore Falcon 9 costruito dalla
californiana Space X che l’anno scorso ha effettuato il primo
volo. La grande differenza però sarà nel fatto che anziché
possedere le navi spaziali, la Nasa sta pensando di prenderle in
leasing pagando solo un affitto. Si tratta di un enorme risparmio:
operare uno Shuttle di proprietà costa 2 miliardi di dollari
l’anno.
I sostituti dello Shuttle non ci sono ancora,
però.
Ci stiamo lavorando, insieme ai nostri partner. La Nasa cercherà
di ridurre il più possibile il periodo di ‘vuoto’ che si
aprirà dopo l’andata in pensione degli Shuttle, con l’ultimo
lancio fissato per l’8 luglio.
Anche il fenomeno del turismo spaziale fa parte della nuova
era?
Sette turisti hanno visitato finora la Stazione spaziale
internazionale e hanno speso 30-40 milioni di euro a viaggio. La
scienza non può essere di pochi e si fa con la collaborazione di
tutti. Ma non si deve perdere di vista il vero obiettivo: la
conoscenza dell’Universo e del nostro sistema solare.