IL CASO

Iva, l’affondo delle Pmi digitali contro le norme Ue: “Troppa burocrazia”

Dover pagare per i servizi online l’imposta in vigore nel paese dell’acquirente potrebbe far “impantanare” i player più piccoli tra 75 aliquote differenti in 27 Stati. Intanto gli Ott annunciano rincari. E i prezzi degli e-book in Italia iniziano a scendere: a gennaio -15%

Pubblicato il 23 Mar 2015

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Le nuove norme europee sull’Iva per i servizi digitali sono destinate ad avere, almeno nella prima fase della loro applicazione, conseguenze importanti sul mondo delle imprese. Da gennaio 2015 è in vigore la legge che chiede a chi vende e-book, mp3, app, videogiochi, suonerie, giornali digitali, ma anche hosting e advertising, di applicare l’imposta sul valore aggiunto che vige nel paese dell’acquirente, e non quella dello Stato in cui ha sede il venditore. Questo vuol dire per i giganti del Web che dovranno confrontarsi non più con le tariffe agevolate dei paesi che hanno eletto a propria residenza (in molti proprio contando sulle condizioni favorevoli sull’Iva avevano scelto il Lussemburgo), ma con una serie di aliquote diverse caso per caso nei Paesi dell’Unione. E nella maggior parte dei casi hanno già deciso che adegueranno i pressi aumentandoli in proporzione, in modo che l’importo dell’Iva venga aggiunto caso per caso al prezzo finale, creando così condizioni di prezzo differenti in ogni paese.

Ma per le piccole imprese digitali, ricostruisce IlSole24ore, i problemi si presentano in modo ben più grave, fino – in alcuni casi – ad apparire insormontabili. Le aziende più piccole, infatti, si dovranno confrontare con una nuova normativa che porta con sé 97 pagine di note esplicative, e a gestire settore per settore e Stato per Stato 75 aliquote diverse a seconda dei prodotti e dei servizi venduti. Uno “stress burocratico” destinato a mettere a dura prova, nonostante il sistema del Moss, che consente di dichiarare in un solo stato i servizi digitali resi, le strutture più piccole: “Le realtà che non riescono a gestire il nuovo sistema in autonomia – spiega al quotidiano Roberto Liscia del consorzio NetComm – potrebbero rinunciare all’e-commerce e o spostarsi sotto le ali degli store più grandi”.

Così sui social è partita una campagna per chiedere la modifica della normativa: utilizzando gli hashtag #euvat e #vatmoss, gli scontenti stanno avanzando le loro proposte, come quella di chiedere l’introduzione di una soglia di fatturato, ad esempio di 100mila euro – sotto la quale le nuove regole non debbano essere applicate.

Intanto in Italia, dopo la decisione di abbassare al 4% l’Iva sugli e-book, il prezzo finale dei libri digitali ha iniziato a scendere, e a gennaio, primo mese di applicazione della norma voluta dal ministro Dario Franceschini, il prezzo medio di vendita è andato giù del 15,1%. “In media – spiega al Sole24Ore Marco Polillo, presidente dell’Aie, associazione italiana editori – gli e-book costano già la metà rispetto alla versione cartacea e non è vero che sono più costosi rispetto alla media europea. Va considerata la platea di riferimento – conclude – i lettori di e-book in Italia superano di poco il 5%, in Gran Bretagna la penetrazione va oltre il 15%”.

“I ribassi vanno letti come un adeguamento alla nuova aliquota Iva – aggiunge Giovanni Peresson dell’ufficio studi dell’Aie – ma non è detto che sia sempre una cosa positiva. Il prezzo a volte è anche sinonimo di qualità agli occhi del consumatore.

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