l cibo sta diventando sempre più centrale nella vita di tutti noi, non solo a causa di crescenti problemi (fame nel mondo, obesità dilagante, patologie dell’alimentazione – anoressia e bulimia… ), ma anche per le nuove prospettive che si stanno aprendo (food design, dieta mediterranea nel Patrimonio Unesco, crescente peso economico del settore agroalimentare italiano…). Fino ad oggi il rapporto del cibo con la città è stato molto semplice: la campagna era il luogo della produzione e la città il luogo del consumo. Oggi questo rapporto si è complessificato e uno dei fenomeni emergenti è quello degli orti urbani, che suggerisce una specie di inversione di tendenza rispetto alla progressiva e inesorabile urbanizzazione: la campagna ritorna nelle città, rioccupando tetti e balconi.
Questo fenomeno è certamente molto antico – pensiamo ai giardini pensili di Babilonia voluti, si dice, da Nabucodonosor – ma le attuali motivazioni sono diverse: migliorare l’isolamento termico e limitare i carichi termici, soprattutto estivi, per gli ultimi piani, contribuire alla conversione della Co2, al filtraggio delle polveri sottili ed alla ritenzione idrica, e più in generale, migliorare la vivibilità dell’ambiente urbano. Richard Ingersoll, nel suo saggio “Sprawltown”, ha definito questa controtendenza “agricivismo”.
Il progetto Orti Urbani è stato lanciato in Italia da Anci, Italia nostra, Coldiretti e Campagna Amica, che ha nel progetto un ruolo attivo fornendo, tra l’altro, servizi agli hobbisti: le piantine adatte, i tutor/consulenti… Stanno anche nascendo prodotti specifici: ad esempio il tavolo OrtoUrbano, pensato per coltivare ortaggi e verdure in spazi ridotti; è trasportabile grazie ad un pratico kit di ruote ed è realizzato in acciaio galvanizzato per resistere alle intemperie.
Ma i progetti più interessanti sono gli Orti urbani “industriali”. Un caso particolarmente innovativo è Gotham Greens, un’azienda agricola sui tetti di New York che produce circa 100 tonnellate di ortaggi all’anno e li vende alle più grandi catene di supermercati. Il cuore della produzione è una serra idroponica di 15.000 metri quadrati costruita sul tetto che utilizza un sistema sofisticatissimo per il controllo ambientale. Uno dei vantaggi delle culture idroponiche è l’eliminazione del trasporto di compost e della necessità di cambiare costantemente il terreno. L’agricoltura idroponica è leggera e modulare, utilizza circa un decimo dell’acqua destinata all’agricoltura convenzionale ed è molto efficiente. Il cuore di questa serra è digitale: un sistema di sensori che misurano luce, temperatura, umidità, Co2, ossigeno, permette di regolare l’effetto serra, il ricircolo d’aria, ed il ciclo giorno-notte.
Un altro tema di crescente importanza legato al binomio cibo-città è l’esigenza di accorciare la catena distributiva tra gli agricoltori e i consumatori. Su questa partita Campagna Amica è particolarmente presente: concetti come Km zero alimentare o Farmer Market sono ormai entrati nel linguaggio della città del XXI secolo. Sentiamo il direttore generale della Fondazione Campagna Amica, Toni De Amicis. Quali sono i progetti su cui state puntando? “Dopo il lancio dei Farmers’ Market stiamo lavorando su nuovi percorsi distributivi, sempre dentro la filiera corta (dal campo alla tavola): rete di botteghe dove il prodotto viene venduto direttamente, ma senza l’agricoltore. Si tratta di una nova modalità di ‘vendita diretta’ che non usa grossisti”.
Un’altra linea di sviluppo sono i cosiddetti gruppi di acquisto solidali. I benefici sono evidenti: aggregare una domanda frammentata e parcellizzata per renderla economicamente sostenibile. Sempre più frequentemente a Campagna Amica arrivano le segnalazioni da cittadini che vorrebbero comprare direttamente dagli agricoltori. Osserva sempre De Amicis: “Bisogna lavorare anche sul fronte dell’offerta. Noi sollecitiamo anche i produttori ad aggregarsi per coprire la domanda e a organizzarsi in maniera collettiva e a utilizzare forme di distribuzione innovative”.
L’accorciamento della catena distributiva e la vendita diretta al consumatore sono tematiche dove le soluzioni digitali possono dare un contributo rilevante. Molto interessante è ad esempio WantEat – nuovo modello replicabile di Social Web of Intelligent Things, alla cui base c’è il concetto di smart object alimentare (cibo, luogo, ristorante, negozio, produttore, ..) in grado di raccontarsi e di socializzare grazie a strumenti di interazione naturale e di organizzazione semantica delle informazioni. Fa parte del progetto Piemonte, realizzato da Telecom Italia in collaborazione con l’Università di Torino, l’Università di Scienze Gastronomiche e SlowFood: cuore del sistema è l’ontologia enogastronomica e geografica legata ai Prodotti del Paniere della Provincia ed ai Presidi SlowFood.