“In Italia non serve l’ennesima riforma scolastica che inserisca il coding, la programmazione informatica, tra le materie obbligatorie, perché sarebbe un cammino lungo e complesso, ma occorre un approccio più light e immediato, come la sperimentazione appena avviata con il progetto “Programma il futuro”, promosso dal governo: facilitatori esterni che stanno portando nelle scuole nozioni di programmazione attraverso metodi ludici e istintivi. Solo così il nostro Paese si può allineare al resto del mondo”. Ne è convinto Alessandro Bogliolo (nella foto), ambasciatore per l’Italia della Eu Code Week 2014 iniziata sabato scorso e caratterizzata da oltre 1.500 gli eventi che animeranno il mondo digitale in tutta l’Ue e anche in altri Paesi, dalla Norvegia alla Turchia. Ingegnere elettronico e coordinatore della divisione Scienza e Tecnologia dell’Informazione al Dipartimento di Informatica dell’Università di Urbino, Bogliolo è stato scelto dalla Ue per rappresentare l’Italia nell’ecosistema europeo del coding. Italia inclusa ufficialmente tra i Paesi Ue che prevedono la programmazione come “materia facoltativa” nelle scuole.
Perché imparare a programmare fin da bambini è così importante?
Serve non solo a coltivare digital skill, che possono essere utili per il futuro lavorativo, ma anche per aiutare a pensare in modo diverso e per apprendere un nuovo linguaggio, il linguaggio delle cose. Scommettere sulla programmazione non significa far diventare tutti programmatori né vuol dire che imparare a programmare sia utile come imparare a leggere e a scrivere. Però può insegnare a bambini e ragazzi il pensiero computazionale. In pratica insegna a pensare in modo algoritmico, ovvero ad arrivare alla soluzione di un problema concatenando una serie di azioni semplici per costruire un risultato complesso. Per questo mi occupo di “Code’s Cool – Programmare è forte!”, progetto dell’Università di Urbino che è in sostanza una comunità di apprendimento aperta e informale. Si avvale di strumenti online per coinvolgere bambini, ragazzi, famiglie, scuole, insegnanti, studenti e docenti universitari animati dal desiderio di programmare insieme.
Qual è l’approccio migliore per insegnare il coding alle giovani generazioni?
Occorre farlo nel modo più naturale possibile. Esistono già tanti strumenti in Rete che garantiscono un approccio divertente e ludico alla programmazione. L’insegnante deve solo essere un facilitatore: indicare i materiali giusti da utilizzare e poi lasciare che i ragazzi si scatenino. Non si tratta di formare i giovani ad essere nativi digitali, perché lo sono già, ma di insegnare loro una sorta di seconda lingua. Proprio come con le lingue, il metodo non è più quello di una volta – si studiava per anni la grammatica e solo successivamente si imparava a parlare – ma è una specie di full immersion: ci si ‘butta’ nel coding e si impara facendo. Paradossalmente si potrebbe dire che gli insegnanti indicano agli allievi gli strumenti, ma poi sono gli allievi a spiegare agli insegnanti come usarli.
Com’è la situazione in Italia?
Il primo problema è far passare il termine: molti non sanno neppure cos’è la programmazione e ignorano cosa sia la Code Week. Si può arrivare alla laurea senza essersi mai imbattuti nel coding. La materia non è prevista nei programmi istituzionali della scuola. Tuttavia il governo ha sposato un’iniziativa a mio parere molto positiva.
Quale?
“Programmare il futuro”, che fa parte del programma “labuonascuola” ed è stato avviato dal Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica in collaborazione con il Cini (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica). L’obiettivo è fornire alle scuole una serie di strumenti semplici, divertenti e facilmente accessibili per formare gli studenti ai concetti di base dell’informatica: in sostanza i facilitatori esterni del Cini introducono negli istituti scolastici metodi ludici per favorire l’approccio al coding. Questa sperimentazione è partita nell’ambito della Code Week in varie scuole del nostro Paese: entro fine settimana saranno trecento e, entro fine anno, il numero potrebbe notevolmente crescere fino ad arrivare a coprire buona parte del territorio nazionale.
Riusciremo ad allinearci agli Usa e ad altri Paesi europei più avanzati?
L’iniziativa del Miur parte proprio da un’esperienza di successo avviata negli Stati Uniti che ha visto nel 2013 la partecipazione di circa 40 milioni di studenti e insegnanti di tutto il mondo. L’Italia sarà uno dei primi Paesi al mondo a sperimentare l’introduzione strutturale nelle scuole dei concetti di base dell’informatica attraverso la programmazione.