Google suggest, la funzione di ricerca che "suggerisce"
le parole più ricorrenti accostate alla ricerca di una parola, è
risultato condannato per diffamazione dal Tribunale di Milano, per
aver associato al nome di un imprenditore di Milano la parola
"truffatore" e "truffa" a fianco del proprio
nome durante la ricerca. La funzione di Google che suggerisce agli
utenti le parole chiave mostrava a fianco del nome
dell’imprenditore la parola truffatore.
L’imprenditore di Milano ha fatto causa a Google, ottenendo un
rimborso di 2300 euro per le spese legali e 1500 euro per i diritti
lesi, dal momento che Google, dopo aver ricevuto la segnalazione
dall’avvocato dell’imprenditore, non ha applicato i filtri
richiesti per eliminare l'associazione.
Il giudice di Milano ha poi respinto anche le obiezioni fornite da
Mountain View, che aveva precisato che “trattandosi di un
software completamente automatico è evidente l’impossibilità
– senza compromettere l’intero servizio – di operare un
discrimine tra termini buoni e termini cattivi, non solo in
considerazione del numero indeterminabile di parole con un
potenziale significato negativo, ma anche e soprattutto del fatto
che il medesimo termine potrebbe avere significati del tutto
diversi se abbinati a parole diverse”.
La società dovrà intervenire sull'algoritmo per evitare
diffamazioni. Secondo l’ordinanza del Tribunale di Milano, Google
è ora obbligato a censurare, ossia a filtrare, i suggerimenti
proposti agli utenti per velocizzare il completamento della query
digitata nell’apposito box del motore di ricerca.
Finora secondo le norme europee, i motori di ricerca hanno
responsabilità diverse, più leggere, rispetto agli hosting
provider e non sono tenuti a rimuovere qualcosa dopo la
segnalazione.