Ikea è nata molto prima del web e della società low cost. Ha settanta anni ed oggi opera in 27 diversi paesi del mondo con 315 punti vendita.
Ma l’affermazione del brand è arrivata negli anni ottanta e novanta quando il gruppo svedese è diventato un cult per l’arredamento dei nuclei familiari delle classe media o medio-bassa occidentale che iniziava ad essere colpita, nelle potenzialità di spesa, dalla crescente tassazione e dalla stagnazione dei salari.
L’affermazione del modello di vendita low cost, non solo nei mobili ma anche in settori come il trasporto aereo o l’abbigliamento, ha fatto salire fino a quota 30 miliardi il fatturato annuo di Ikea ed a farne un brand mondiale. Ma l’ultima crisi da eccesso di indebitamento, quella che ogni giorno la Grecia ci ricorda essere ancora in corso, ha stravolto le carte anche per il modello di business di Ikea. Il fatturato per la prima volta si è fermato nella crescita.
Negli ultimi tempi è anche calato in taluni contesti. L’appeal del modo di vendere di Ikea – uno shopping semplice in negozi molto ampi dove si poteva anche mangiare cibo in stile svedese – è diminuito. Quello che era il gruppo socio-economico, che negli ultimi due decenni ha gonfiato le vendite di Ikea, è stato colpito nella capacità di spesa dalla peggiore recessione del secondo dopoguerra. Non solo è sparito il tradizionale cedo medio, ma anche quella che, in un saggio del 2005 pubblicato con Massimo Gaggi per i titoli di Einaudi (“La fine del ceto medio e la nascita della società low cost”), indicavo come la classe della massa, cioè quell’insieme di consumatori guidati nelle loro decisioni di spesa quasi esclusivamente dal poter comprare di più a parità di reddito e senza sensibilità particolari allo status, è stata in parte risucchiata verso il basso o verso modelli di consumo che chiamerei low low cost. Ikea, per questa dimensione sociale formatasi con la crisi, è troppo costosa in termini di prezzo medio del catalogo e di tempo richiesto per fare shopping. La risposta annunciata da Ikea è stata quella di potenziare l’online.
Vuole rapidamente avere una offerta online nella metà dei 27 paesi dove opera e già oggi il 70% dei suoi 9.500 beni in catalogo sono comprabili via web. Ma non credo che sia solo questo il problema che il gruppo svedese deve fronteggiare. Il gruppo sociale che aveva consacrato l’ascesa delle vendite low cost oggi non esiste più.
La crisi ha generato un consumatore che vive ogni decisione di consumo in maniera minimale: non percorre pù gli stessi percorsi di acquisto del recente passato e non ricerca gli stessi brand. La domanda è andata oltre il low cost ed ha spiazzato anche Ikea.