Nell’intervista su CorCom dell’11 novembre scorso in occasione del suo discorso in Bocconi e dell’inaugurazione dell’Apple Store in centro a Milano, Tim Cook aveva sottolineato in modo accorato l’importanza della protezione della privacy “Ci sono cose relative a te che sono criptate all’interno del dispositivo e non permettiamo che questi dati vadano nel cloud (..) “.
Accadeva diverse settimane prima che giungesse la richiesta del giudice federale per poter entrare dalla “porta di servizio” nel cellulare di un indagato. A questa iniziativa, Cook ha risposto con coerenza e ha mandato una lettera ai suoi clienti, che vale la pena di citare: “L’Fbi ci ha chiesto aiuto nei giorni dopo l’attacco (nella contea di S. Bernardino in cui sono morte 14 persone per mano di Syed Rizwan Farook e Teshfeen Malik – ndr), e abbiamo lavorato duramente per sostenere gli sforzi del governo per risolvere questo crimine orribile. Non abbiamo alcuna simpatia per i terroristi. Quando l’FBI ha richiesto dati che sono in nostro possesso, li abbiamo forniti. (…)
Abbiamo anche reso disponibili gli ingegneri Apple per consigliare l’FBI, con le nostre migliori idee su una serie di opzioni di indagine messe a loro disposizione. Abbiamo grande rispetto per i professionisti dell’ FBI, e crediamo che le loro intenzioni siano buone. (…) Ma ora il governo degli Stati Uniti ci ha chiesto qualcosa che semplicemente non abbiamo, e qualcosa che consideriamo troppo pericoloso da creare. Ci hanno chiesto di costruire una backdoor per l’iPhone”. E conclude: “Mentre noi crediamo che le intenzioni dell’ FBI siano buone, sarebbe sbagliato che il governo ci costringesse a costruire una backdoor nei nostri prodotti. E, al fondo della questione, temiamo che questa richiesta finirebbe per minare proprio la libertà della nostra collettività e le libertà dei cittadini che il nostro governo deve garantire”. La lettera rimarrà negli annali, non solo del dibattito sulla privacy, e questo è sicuro.
Rimarrà negli annali del dibattito moderno, ma di radici antiche, intorno al significato della parola libertà. In Italiano ne abbiamo una sola, molto legata alla Rivoluzione francese e al significato che la Rivoluzione le ha dato: libertà, intesa come liberazione da un giogo politico, come obiettivo della rivolta contro un potere oppressivo, magari straniero o di una classe sulle altre o di una casta religiosa o di altro tipo. Ma in inglese le parole sono due: e Tim Cook le richiama tutte e due nelle conclusioni di questa lettera che non sarà dimenticata: “Liberty” e “Freedom”. Non sono uguali i significati delle due parole, ma non sono neppure opposti, perché si compenetrano e si integrano, si devono integrare nella realtà delle società democratiche.
Liberty è la libertà che viene garantita dall’ordinamento dello stato che, attraverso le leggi, la magistratura e la forza protegge i cittadini dai soprusi provenienti dall’interno e dall’ esterno. Freedom, invece, ci parla delle libertà individuali, ossia della capacità e della possibilità di vivere nella comunità le proprie libere scelte. Ed è al plurale, le libertà, che questa parola, che noi non abbiamo, viene usata da Tim Cook.