La riflessione sull’uso che facciamo della tecnologia deve liberarsi dalla prigionia cognitiva del binomio tecnofobia-tecnofilia per sposare il sano cinismo e scetticismo che sempre accompagna il dubbio e la capacità di mettere in discussione le esperienze che facciamo, quello che siamo e l’ambiente nel quale viviamo. La tecnologia è diventata così pervasiva da offrire una miriade di spunti di riflessione tecno-cinica e tecno-scettica in ambiti e contesti tra loro differenziati.
Uno di questi ambiti è quello relazionale, di cui si parla molto ma quasi sempre solo e soltanto per raccontare le pratiche di comunicazione e interazione tipiche delle piattaforme dei social network e dell’uso che ne viene fatto, in particolare nella politica. La narrazione è tutta incentrata sui cinguettii violenti e politicamente scorretti, sulle varie forme di bullismo digitale, sulle fake news e su altre forme di prevaricazione. Quasi mai è focalizzata sulle forme pragmatiche della comunicazione che favoriscono la relazione come ad esempio la gentilezza.
E’ a partire da questa constatazione e dalla percezione che di gentilezza ci sia oggi un grande bisogno che, insieme a Anna Maria Palma, Professional Counselor e Emotional Intelligence Executive Coach, ho scritto un e-book dedicato alla gentilezza: “La gentilezza che cambia le relazioni digitali – Tecnologia e social networking gentili”.
Il bisogno di gentilezza non nasce dalla ricerca di maggiore cortesia, buone maniere o galatei della comunicazione online ma dalla percepita necessità di costruire e coltivare modalità relazionali capaci di generare quella solidarietà, amicizia e condivisione che le tante realtà digitali promettono ma non sono in grado di regalare.
Il bisogno di gentilezza è tale nella vita reale così come in quella virtuale, tecnologica e digitale. In entrambe le realtà la gentilezza è semplicemente un modo, né difficile né complicato, di trattarsi bene e di trattare bene gli altri. Un modo utile a superare le difficoltà di una realtà vissuta sempre connessa ma sempre più caratterizzata da numerose forme di disconnessione e separazione. Siamo al tempo stesso connessi ma anche molto disconnessi. Ci siamo insediati abitandoli in mondi virtuali online, dimenticandoci che siamo “ospiti della vita” (Remo Bodei) compresa quella online.
Sempre connessi a un dispositivo tecnologico che ci offre infiniti canali di comunicazione, e disconnessi dal mondo perché incapaci di immaginare altre vite. Connessi a livello globale e disconnessi con la persona che ci abita accanto, con la persona con cui condividiamo un ascensore, che attraversa la strada insieme a noi, che distribuisce pizze Foodora come noi o frequenta lo stesso caffè sotto casa.
Siamo connessi dalla globalizzazione – la connessione digitale in rete è solo uno degli aspetti di questa più generale connessione dovuta alla globalizzazione – dal consumismo delle merci di Internet e siamo diventati migranti globali digitali. Al tempo stesso siamo spaventati dalle migrazioni che caratterizzano la globalizzazione o ne dipendono, e irritati con quelli che invece di navigare e migrare in Rete lo fanno con barconi, attraverso spazi reali e superando confini territoriali (anche loro con un cellulare sempre acceso, ma come ancora di salvezza). Tutti sempre e comunque alla ricerca di scialuppe di salvataggio personali e spazi sociali da abitare, nei quali trovare nuova serenità, tranquillità, condivisione, stabilità, sicurezza, vie di fuga, rappresentanza politica, cordialità e gentilezza.
Serve dunque una riflessione critica finalizzata alla consapevolezza su cosa siamo diventati, su come le tecnologie ci stanno cambiando e su cosa stiamo forse perdendo, in termini di umanità e socialità.