Ognuno vorrebbe essere un category killer. Il leader maximo del suo settore, perché sanno di poter continuare a esistere solo se sono i primi. Ma i loro mercati smettono di crescere e quindi sono costretti a sconfinare nei territori altrui partendo dai loro punti di forza. E così comincia la grande guerra degli Ott, creature enormi ma agili nate nel primo secolo dopo Internet, alla conquista della preziosa pubblicità mobile. La sceneggiatura, proposta dal top manager di una corporation, che preferisce non firmarla, prevede un doppio finale: o i combattenti cambieranno le loro strategie (modello di business) o ne rimarrà solo uno, come in Highlander.
Lo scontro è solo all’inizio. Dopo aver costruito le loro fortune utilizzando le reti altrui, gli Ott adesso si azzannano fra di loro e nella baruffa scappa qualche morso per le Telco.
Gli aspiranti category killer sono facili da individuare: Google vuole il dominio sul search, Facebook nel social,Twitter nel microblogging, Whatsapp nel messaging, Dropbox nel cloud. Tutti gli altri rincorrono, cercano di difendere il proprio territorio e ogni tanto sparano una bordata. Due le parole chiavi: search e social. Uno solo il bottino in palio: i miliardi di dollari del mobile advertising che cresce parallelamente alla diffusione di smartphone (1 miliardo di utilizzatori raggiunto) e tablet (che saranno più dei pc entro i prossimi tre anni). Mobile advertising che non ha ancora il suo category killer.
Il “cattivo” della saga è ovviamente Google, anche perché è il dominatore indiscusso: oltre il 90% delle ricerche in mobilità passano da lì e il 70% degli smartphone funziona con il suo sistema operativo, Android (distanziati Apple, Blackberry, Microsoft). Ovvio che sia nel mirino di governi nazionali e sovranazionali e di concorrenti indispettiti. L’Unione europea lo ha richiamato a rendere trasparenti le sue ricerche, il colosso di Mountain View ha proposto di mettere un bollino ai risultati che segnalano servizi di sua proprietà ma la vicenda è ancora lontana dalla conclusione. Chi ha fatto la denuncia? FairSearch, associazione per lo sviluppo del business digitale che riunisce aziende come Microsoft, Oracle, Nokia. Una vera e proprio lobby antiGoogle che non ha esitato a dichiarare: “Android è un cavallo di Troia per ingannare i partner, monopolizzare il mercato mobile e controllare il consumo dei dati”.
Parole dure che aiutano a capire il clima che si respira. Probabilmente ognuno avrebbe preferito continuare a curare il proprio business, ma le invasioni di campo non lo permettono più. L’ultima e più decisa è quella di Facebook, che con Home è entrato a gamba tesa in Android. La suite grafica del social network, per ora disponibile solo negli Stati Uniti e per gli smartphone di ultima generazione, praticamente si “impossessa” del sistema operativo e della home page dell’apparecchio. Le prime reazioni non sono entusiasmanti, qualcuno ritiene che alla fine sia solo un vantaggio per Google perché il suo sistema sarà in grado di raccogliere più dati sugli utenti, ma il segnale è chiaro. Google+ ha sconfinato (e sta crescendo) nel social, Facebook replica con gli interessi. Entrambi comunque puntano a diventare piattaforme totalizzanti di comunicazione, voce compresa. Google ha smentito di voler acquistare Whatsapp e probabilmente è vero, almeno per il momento. Ma certamente sta pensando a una ricomposizione di tutti i suoi servizi di messaggistica, voice Ip e video compresi.
Il progetto si dovrebbe chiamare Babel e potrebbe essere annunciato già a metà maggio in occasione dell’annuale convention della corporation. Facebook ha già riunito sms e messaggi con ChatHead (che dal 12 aprile si scarica anche da GooglePlay…) anche per rispondere a WhatsApp, che gli toglie spazio per la sua immediatezza d’uso.
Tutto sta convergendo, gli scontri così diventano inevitabili. Apple e Google andavano d’amore e d’accordo fino a quando il secondo non ha lanciato un sistema operativo. E adesso Apple, dopo la collaborazione per Siri, sta pensando di allearsi con Yahoo sperando di sganciarsi da Google, con cui comunque ci sono degli accordi, come anche fra Yahoo e Microsoft. I confini diventano davvero mobili e le alleanze tortuose. Solo un esempio: Twitter ha lanciato il suo servizio Music in collaborazione con Universal e Sony, integrando Spotify e YouTube, mentre Apple risponde all’avanzata dello streaming (che minaccia i download di iTunes) con iRadio. Nel frattempo gli utenti non stanno fermi. Si è domandato qualche settimana fa BusinessWeek: i teenager si stanno stancando di Facebook e YouTube? Una nuova ricerca infatti dice che restano i più importanti social media ma la loro popolarità è in calo a favore di Twitter, Redit, Snapchat, Vine e 4chan. E così nello scontro-madre Google-Facebook finisce anche chi si muove attorno. Twitter si studia con Mountain View e spera di finire nei suoi occhiali. Intanto se le dà di santa ragione con Facebook: se ha lanciato Vine, i cui filmati flash non si vedono su FB, è perché il social fece lo stesso l’anno scorso con le immagini di Instagram dopo averlo acquisito.
È chiaro che ciascuno cerca di tenersi per sé i propri utenti. E lo spirito originario della condivisione e dell’apertura, con cui sono nati un po’ tutti gli Ott, potrebbe presto essere solo un ricordo, con probabili fastidi proprio per quegli utenti considerati tanto preziosi. E sempre più mobili. L’advertising mondiale georeferenziato farà boom entro il 2017: dai 526 milioni di euro nel 2012 a oltre 6 miliardi di dollari, con una crescita annua del 65% (Berg Insight).
Stiamo parlando di advertising sms, mobile search e couponing. Google ha un primato nei motori di ricerca difficilmente attaccabile da Yahoo e Microsoft. Ma, secondo Idc, sul mobile Facebook rappresenta una minaccia seria. Anche perché la diffusione dei social ha prodotto un calo delle ricerche da smartphone. Chi sarà fra i due l’Highlander se si continuerà ancora con la logica dello scontro?