La sharing economy italiana vale 3,5 miliardi e tra 10 anni potrebbe raggiungere un giro d’affari fino a 25 miliardi. Il primo tentativo di valutazione dell’economia della condivisone tricolore arriva dall’Università di Pavia, che prefigura diversi scenari di impatto sul Pil tramite una ricerca commissionata e finanziata dall’agenzia di comunicazione Phd Italia.
Esaminando i maggiorenni classificati dall’Istat come “utenti forti” della Rete, ossia coloro che almeno una volta alla settimana utilizzano Internet, e fissando la spesa in sharing economy all’1% di quella totale degli italiani, i ricercatori dell’ateneo attribuiscono alla sharing economy un valore di 3,5 miliardi nel 2015.
Particolarmente interessanti le proiezioni sul futuro. Prendendo come ipotesi un incremento del Prodotto interno lordo dell’1% e un aumento degli utenti a quota 9,7 milioni, l’impatto dell’economia collaborativa o della condivisione sul Pil raggiungerà gli 8,8 miliardi di euro nel 2020 e 14,1 miliardi nel 2025. Ciò vorrebbe dire rispettivamente un peso pari allo 0,5 e allo 0,7 del Prodotto interno lordo.
Se invece le piattaforme sharing riuscissero a far breccia anche fra le fasce d’età superiori ai 34 anni, il valore aggiunto salirebbe a 10,2 miliardi nel 2020 19,4 miliardi nel 2025. La proiezioni più ottimista configura infine una scenario di “digital disruption”: un allargamento degli “utenti forti” provocherebbe un’impennata dell’impatto della sharing economy sul Prodotto interno lordo fino a 10,5 miliardi fra 4 anni e 25,1 miliardi nel 2025.
Il tentativo dell’Università di Pavia è senza dubbio ambizioso, visto che le piattaforme di condivisione hanno confini molto difficili da inquadrare in modelli di valutazione economica. I ricercatori si sono attenuti alla classificazione della Commissione europea (Bruxelles ha recentemente chiesto agli Stati regole ad hoc) che riconduce nella sharing economy l’utilizzo di tecnologie digitali per modelli di business basati su noleggio di beni e servizi. Luciano Canova e Stefania Migliavacca, i curatori dello studio, ipotizzano anche una prospettiva “bolla”, che vedrebbe l’economia collaborativa crescere a 14 miliardi nel 2019 per poi tornare in picchiata ai livelli attuali, anzi poco sopra a 4 miliardi. A causare quest’ultimo scenario, spiega la ricerca, potrebbe essere solo un forte irrigidimento istituzionale. Sotto questo punto di vista l’Italia sta cercando di muoversi con un approccio trasversale ai diversi settori professionali: registro specifico per gli operatori e definizione di criteri di tassazione delle attività.