Negli Stati Uniti si apre l’era di Joe Biden e il nuovo presidente è già pronto a rimboccarsi le maniche per affrontare le questioni irrisolte della precedente amministrazione. La chiarezza della sua visione è emersa fin dai primi ordini esecutivi con cui ha reso reso obbligatorio l’uso delle mascherine e ha riportato gli Usa nell’Organizzazione mondiale per la sanità e negli accordi di Parigi sul clima. Le sfide sono molteplici e toccano anche l’industria tecnologia e i diritti nel mondo digitale.
Biden dovrà decidere come andare avanti sul tema dei “monopoli” delle Big tech come Google, Facebook e Amazon. Occorrerà ricucire i rapporti con la Cina dopo la lunga tech war condotta da Donald Trump, pur preservando la sicurezza nazionale e la proprietà intellettuale delle imprese tecnologiche americane.
Ma Biden vuole spingere su un altro tema ancora: il digital divide. Troppi amerricani sono ancora tagliati fuori dai servizi di nuova generazione perché non raggiunti dalla banda ultra-larga. È questione di uguaglianza e crescita economica e sociale, priorità del presidente Democratico e della sua amministrazione.
Big Tech a rischio regulation
Durante l’amministrazione Trump i grandi gruppi dell’hitech (Google, Facebook, Amazon, Apple) sono finiti sotto la lente delle autorità antitrust fino ad arrivare a vere e proprie azioni legali (come quella contro Google). Il dominio di mercato raggiunto, secondo le autorità Usa, ai danni della concorrenza e dell’innovazione continuerà ad essere una preoccupazione di Biden. Per gli analisti americani le Big tech non devono aspettarsi trattamenti di favore.
Anzi, secondo il New York Times potrebbero arrivare ulteriori cause legali: molti Democratici al Congresso hanno seguito la linea dei Repubblicani, convinti che occorra agire per limitare i “monopoli” delle “superpotenze tecnologiche”. La regulation sulle Big tech è una delle poche aree su cui sembra esserci un accordo bipartisan.
Via lo “scudo penale” per i social?
Dove finisce la libertà di espressione sui social media e dove si sconfina nella lesione dei diritti altrui, nell’hate speech o nella divulgazione di notizie false o tendenziose? Trump ha usato in modo estensivo Twitter per esprimere le proprie opinioni personali e i propri indirizzi politici, bollando come fake news le opinioni contrarie o le notizie diffuse dai media tradizionali. I social come Facebook e lo stesso Twitter hanno finito, negli ultimi mesi, col segnalare alcuni dei post di Trump come inappropriati o non basati su fonti credibili.
Dopo gli scontri del 6 gennaio (che sono costati a Trump la seconda richiesta di impeachment) gli account dell’ex presidente sono stati bloccati su Facebook e Twitter. Spetta ora a Biden sbrogliare la matassa. È appropriato che i social media agiscano autonomamente nel controllo dei contenuti terzi o il governo dovrebbe fissare alcune regole sull’espressione online? E i social media sono esenti da responsabilità penale sui contenuti terzi (come garantisce oggi la Section 230 del Communications decency act del 1996) oppure questo “scudo penale” va rimosso?
L’amministrazione Trump era ovviamente a favore della rimozione, ma anche molti Democratici, incluso Biden, hanno affermato che la Section 230 dà alle Internet companies eccessiva protezione e impedisce l’intervento su post dannosi. Il nuovo presidente potrebbe spingere per alcune modifiche nella legge che rendano penalmente responsabili le piattaforme che ospitano disinformazione sui temi politici o che le costringano a spiegare con trasparenza come vengono moderati i post.
Tecnologia e Cina: sul tavolo i casi TikTok e Huawei
La guerra di Trump contro il fornitore cinese Huawei e gli assalti contro le app cinesi come TikTok sono una altro capitolo che rimane aperto. Biden dovrà prendere una chiara posizione su come il governo degli Stati Uniti deve agire in merito alle tecnologie strategiche e nei confronti dei Paesi, come la Cina, che non condividono i valori occidentali.
Negli interventi fatti in campagna elettorale Biden sembra collocarsi sulla stessa linea dell’amministrazione Trump riguardo ai rischi posti da una Cina molto ambiziosa e aggressiva nelle sue politiche per raggiungere il predominio tecnologico. Biden non ha fornito dettagli; ha solo indicato che la sua strategia sarà più “coerente” e che potenzierà gli investimenti governativi nella tecnologia essenziale degli Stati Uniti (per esempio 5G o intelligenza artificiale) per contrastare le ambizioni tecnologiche della Cina.
Il monito della Fcc: sulle cyber-minacce cinesi
Sui rapporti con Pechino è intervenuto, in un’intervista su Reuters, il presidente uscente della Federal communications commission (Fcc), Ajit Pai, richiamando la nuova amministrazione sui rischi rappresentati dalla Cina per quelle che ha definito azioni di spionaggio e attacco alle reti telecom nazionali e alla liberta di Internet. Per Pai si tratta della più grande minaccia alla sicurezza nazionale che i regolatori dovranno affrontare nei prossimi quattro anni.
La Fcc ha avviato lo scorso mese la procedura per la revoca dell’autorizzazione di China Telecom a operare negli Stati Uniti. Nel 2019 il regolatore telecom ha negato a China Mobile la licenza per fornire servizi negli Usa. La stessa Fcc guidata da Pai ha definito i vendor cinesi Huawei e Zte delle minacce alla sicurezza nazionale, vietando loro di entrare nel programma federale che finanzia le piccole telco americane negli acquisti di apparati di rete. Il Congresso ha poi approvato, a dicembre, un finanziamento di 1,9 miliardi di dollari per aiutare le aziende telecom americane a sostituire le componenti di rete cinesi con attrezzature americane.
Digital divide e protezione dei dati
La pandemia ha evidenziato le pesanti conseguenze del persistente digital divide tra gli americani. Milioni di americani non sono coperti dalla banda larga o non possono permettersi di pagare l’accesso a Internet, in particolare nelle aree rurali o nelle famiglie a basso reddito. Biden ha indicato come priorità la “banda larga universale”, pur senza fornire dettagli sulla strategia che intende adottare. Il Washington Post riporta che i consulenti di Biden suggeriscono di agire su E-Rate, un programma che sostiene le scuole e le biblioteche come punto di accesso a Internet pubblico.
Il piano di rilancio economico di Biden include anche piani per modernizzare le cyber-difese statunitensi. Potrebbe anche arrivare una legge federale sulla data protection.
Sul tavolo c’è anche un possibile contratto o set di regole per i lavoratori della gig economy, come gli autisti di Uber e i rider del food delivery. Un percorso in salita, perché gli stessi Democratici sono spaccati su se e come intervenire su questo settore .
Col Senato Dem riparte l’agenda digitale Usa
Già nei giorni precedenti all’insediamento di Biden gli analisti avevano previsto un nuovo slancio alla strategia digitale americana con maggiore enfasi sulla regulation. La riconquista della maggioranza al Senato per il Partito Democratico permetterà e di riprendere in mano alcune proposte di legge sull’industria tecnologica che la Camera Alta controllata dai Repubblicani ha tenuto nel cassetto.
Torneranno protagonisti i grandi temi discussi già in era Obama, come la net neutrality, la privacy, la tecnologia emergente del riconoscimento facciale, le ads politiche sui social e le questioni antitrust già evidenziate dall’amministrazione Trump.