Dopo la Cina, il Messico. Tutte le fabbriche con forza lavoro low-cost dei grandi dell’elettronica, Dell e Hp in testa, sono finite in mezzo alla guerra commerciale che il presidente americano Donald Trump sta dichiarando ai Paesi verso i quali gli Usa hanno una bilancia dei pagamenti in negativo.
Così, dopo la Cina, con la quale gli Usa stanno combattendo una guerra commerciale senza quartiere (nella quale il tema della sicurezza sembra ogni giorno di più una scusa) adesso tocca al vicino Messico. Con una ulteriore differenza: il rischio di fare vittime con il fuoco amico. Infatti, se Trump manterrà la promessa della scorsa settimana di imporre dazi più elevati sullo stato latinoamericano, tirerà anche un colpo fenomenale ai conti delle aziende americane che vendono hardware informatico prodotti in quel Paese.
Tra questi ci sono Dell, HP e Hewlett Packard Enterprise. I computer e le stampanti prodotti in Messico da queste aziende vengono importati negli Usa. Dal prossimo 10 giugno al loro costo si aggiungerà un ulteriore prelievo fiscale del 5%. E la Casa Bianca ha dichiarato che i dazi potranno salire fino al 25% a ottobre se il Messico non fermerà il flusso di migranti e di persone in cerca di asilo che attraversano il confine tra le due nazioni nordamericane.
Gli Usa però importano 25 miliardi di dollari di computer (il dato è del 2018) secondo le statistiche economiche ufficiali americane. E altri 2,5 miliardi in accessori per computer. I giganti dell’hardware negli ultimi venti anni hanno tratto il massimo vantaggio dal Nafta, il North America Free Trade Agreement, ma adesso la corrente sta per invertirsi molto velocemente. Dopo essere stati costretti a riconfigurare completamente la propria catena dei fornitori per sopravvivere ai dazi sulle importazioni dalla Cina imposti da Trump nei mesi scorsi, adesso è la volta del Messico.
In questi anni il Messico ha avuto un ruolo fondamentale per le aziende di questo settore. Per Dell, il Messico era un porto sicuro per sfuggire ai peggiori impatti del conflitto commerciale tra Cina e Stati Uniti. The Round Rock, società con sede in Texas, ha riallocato la produzione di computer da scrivania dalla Cina in Messico alcuni mesi fa in risposta all’aumento delle tasse sulle importazioni dalla Cina. La società produce in Messico anche server. Ora, sta cercando di capire come affrontare le potenziali nuove tariffe.
«Crediamo moltissimo – ha detto venerdì scorso il portavoce di Dell Steve Gilmore – nel libero scambio. Una possibilità, se questo ulteriore dazio passa, è che dovremo aumentare i prezzi. La buona notizia è che abbiamo una supply chain globale e flessibile con oltre 25 stabilimenti di produzione. Questo è un vantaggio per noi che ci spostare le produzioni molto rapidamente e minimizzare l’impatto sui clienti nel miglior modo possibile».
Anche HP produce alcuni personal computer e stampanti in Messico. La società ha affermato che la sua catena di fornitura globale è “diversificata” e contribuirebbe a ridurre i rischi delle tariffe.
«Condividiamo le preoccupazioni del settore – ha dichiarato a Bloomberg un portavoce dell’azienda – che la guerra delle tariffe sta mettendo i consumatori in prima linea in uno scontro commerciale, aumentando il costo dell’elettronica ».
Anche Hewlett Packard Enterprise, produttore di server che si è separato da HP nel 2015, si sta preparando per i nuovi dazi sulle importazione negli Stati Uniti. Una tariffa sui prodotti fabbricati in Messico avrebbe un effetto finanziario peggiore su HPE rispetto ai prelievi sui beni prodotti in Cina, secondo opinioni raccolte da Bloomberg. HPE assembla anche alcuni prodotti negli Stati Uniti e dipende da una catena di fornitura nordamericana unificata.
HPE si aspetta che i dazi siano dannosiper l’industria dei computer e l’economia degli Stati Uniti, dice Bloomberg. L’attuale ambiente commerciale è insostenibile per le aziende globali, che potrebbero dover destinare meno risorse alla ricerca e allo sviluppo e altri investimenti che alimentano l’innovazione americana, sostengono persone non autorizzate a parlare dall’azienda, secondo quanto riferisce Bloomberg.
HPE ha dichiarato: «Continuiamo a credere che un mercato aperto sia la scelta migliore, ma siamo fiduciosi di poter sfruttare la nostra catena di approvvigionamento globale diversificata per mitigare l’impatto dei cambiamenti nel commercio globale».
Oltre a Dell, HP e HPE, ci sono molte altre aziende hi-tech che sfruttano le opportunità offerte in Messico negli ultimi venti anni dal quadro degli accordi del Nafta. Jabil e Flex, ad esempio, sono produttori terzi per conti di altri marchi: da telefoni cellulari a Pc fino a server e router, per aziende come Cisco, Microsoft e altri. A Guadalahara Jabil ha una struttura da 110mila metri quadri di spazio produttivo dove realizza infrastrutture per il networking, apparati senza fili e per le telecomunicazioni.
Jabil è il più grande fornitore di Cisco, secondo Bloomberg. A maggio il Ceo dell’azienda, Chuck Robbins, ha detto che l’azienda ha lavorato moltissimo per cercare di mitigare l’impatto delle tariffe volute dal governo americano sulle apparecchiature prodotte in Cina. E ha spostato la produzione altrove, probabilmente anche in Messico.
Altri terzisti, come Other World Computing (produce componenti per lo storage), avevano appena finito di spostare le proprie linee produttive dall’Asia al Messico. L’azienda, che ha un giro di affari di circa 125 milioni di dollari, stava cercando un ambiente dove produrre che fosse prevedibile e controllato. «Questi nuovi dazi – ha detto il Ceo Larry O’Connor – sono stati un calcio in pancia. Capisco la Cina, non capisco quale sia lo scopo di questi dazi con il Messico. Questo tipo di problemi commerciali sono ottimi per fare titolo con un certo tipo di base elettorale, ma sono molto dannosi per quelli che ci si trovano poi in messo. Il rischio molto elevato qui è quello di spingere via dagli Usa e dal Nord America un sacco di posti di lavoro».
Secondo O’Connor i nuovi dazi potrebbero logorare le relazioni commerciali che supportano i lavori su entrambi i lati del confine tra Stati Uniti e Messico, e la catena di approvvigionamento solo negli Stati Uniti non è ancora abbastanza solida per portare avanti i suoi prodotti domestici. La società potrebbe dover aumentare i prezzi sia B2C che B2B per chi desidera aggiornare la memoria o la velocità del proprio computer. A lungo termine, dice O’Connor, Other World Computing cercherà luoghi di produzione che non siano vulnerabili a nuovi dazi doganali.
Lenovo, il produttore cinese di PC e server (ereditati in buona parte da Ibm), ha alcune linee di produzione in Messico. La società ha guadagnato abbastanza quote di mercato per diventare in parte il più grande produttore di PC al mondo, offrendo prezzi bassi, una strategia che verrà messa alla prova quando entreranno in vigore le nuove tariffe di Trump.