Big Tech di nuovo nel mirino per presunte violazioni nei confronti dei lavoratori. Solo ieri l’accusa di comportamenti antisindacali e licenziamenti ritorsivi indirizzata dal Consiglio del lavoro Usa a Google, mentre oggi è Facebook a finire sul banco degli imputati. Il caso prende le mosse dalla causa che l’amministrazione Trump sta intentando nei confronti della società di Zuckerberg, con l’accusa di aver discriminato i lavoratori statunitensi creando processi di reclutamento che favoriscono i titolari di visti temporanei.
La denuncia, che secondo quanto riferito dal sito “The Hill” è stata presentata giovedì dal Dipartimento di Giustizia (Doj), sostiene che Facebook abbia creato un processo di assunzione separato per alcuni titolari di status di immigrazione temporanea, come i titolari di visto H-1B, e non abbia volutamente preso in considerazione i lavoratori statunitensi per più di 2.600 posizioni con uno stipendio medio di circa 156mila dollari. “Facebook – si legge nella denuncia – ha intenzionalmente creato un sistema di assunzione in cui negava ai lavoratori statunitensi qualificati un’equa opportunità di conoscere e fare domanda per lavori che invece cercava di canalizzare ai titolari di visti temporanei, che Facebook voleva sponsorizzare per le carte verdi”. La tattica (che secondo il Doj includeva la mancata pubblicità delle posizioni aperte sul sito web delle carriere e il rifiuto di considerare i lavoratori statunitensi per quei ruoli) si sarebbe protratta dall’inizio di gennaio 2018 almeno fino al 18 settembre dello scorso anno.
Il procuratore Dreiband: “I lavoratori statunitensi non posso essere discriminati”
“Il nostro messaggio a tutti i datori di lavoro, compresi quelli del settore tecnologico, è chiaro – ha affermato il vice procuratore generale Eric Dreiband della Divisione dei diritti civili -: non è possibile preferire illegalmente l’assunzione, la presa in considerazione o l’assunzione di titolari di visto temporaneo rispetto ai lavoratori statunitensi”. Il Dipartimento di Giustizia ha aggiunto che il presunto comportamento di Facebook ha un impatto negativo anche sui titolari di visti temporanei, dal momento che crea un rapporto di lavoro ineguale, perché il lavoratore fa affidamento sul proprio impiego per mantenere il proprio status di immigrato.
Per tutta risposta, un portavoce di Facebook ha fatto presente che, “mentre contestiamo le accuse contenute nella denuncia, non possiamo commentare ulteriormente il contenzioso in corso”. Il portavoce ha anche detto che Facebook sta collaborando con il dipartimento di Giustizia.
Facebook nel mirino dell’antitrust
Negli ultimi tempi il Dipartimento di Giustizia ha portato avanti un’ampia revisione del settore tecnologico e più recentemente ha intentato una causa antitrust contro Google. Facebook, in particolare, è attualmente sotto inchiesta per potenziali violazioni antitrust da parte di un gruppo di procuratori generali (dai 20 ai 30 Stati) che dovrebbero intentare una causa a breve, secondo quanto riferito in questi giorni dalla Cnbc. Secondo l’emittente, il procuratore generale dello Stato di New York Letitia James, regia dell’operazione legale, si starebbe concentrando sulla gestione dei dati personali e sulle pratiche commerciali del social network, nonché sull’acquisizione di Instagram e Whatsapp, che, secondo le accuse, avrebbe avuto l’obiettivo premeditato di soffocare la concorrenza nel settore.
A questa vera e propria tempesta legale che si sta abbattendo sull’azienda californiana, potrebbe però aggiungersi presto la Federal Trade Commission (Ftc): nei giorni scorsi, infatti, diversi media statunitensi hanno rivelato che l’agenzia federale starebbe per denunciare a sua volta Facebook per abuso di posizione dominante, al termine di un’indagine avviata più di un anno fa. Nell’ambito dell’inchiesta, l’Ftc ha ordinato a Facebook di fornire informazioni e documenti relativi alle acquisizioni effettuate a partire dal 2010, incluse quindi quelle di Instagram e Whatsapp. Lo scorso luglio l’agenzia federale aveva inflitto una multa record di 5 miliardi di dollari a Facebook per non aver protetto i dati personali dei suoi utenti. Il social network più frequentato del mondo ha sempre respinto le accuse di abuso di posizione dominante, sostenendo che i consumatori hanno molte scelte su come interagire online.
Va detto, tuttavia, che la causa di giovedì si occupa di una questione separata dalle preoccupazioni relative all’antitrust. Le aziende tecnologiche sono infatti state in prima linea in molte lotte sulla riforma dell’immigrazione, in particolare sostenendo i visti H1-B, un visto altamente qualificato utilizzato da molti lavoratori tecnologici. L’amministrazione Trump ha cercato di ridurre alcune di queste protezioni. Il Dipartimento di Giustizia sta quindi chiedendo sanzioni civili, retribuzione arretrata per conto dei lavoratori domestici cui sarebbe stato negato l’impiego e altri aiuti per prevenire future discriminazioni. Tuttavia, con l’entrata in carica di una nuova amministrazione democratica a gennaio, la forma del caso potrebbe cambiare.