L'INTERVISTA

Lavoro 4.0, Scacchetti: “Governare l’algoritmo è la sfida che il sindacato deve vincere”

La segretaria confederale della Cgil: “Nei processi di sviluppo di questi sistemi deve essere garantita la massima partecipazione dei lavoratori tramite una contrattazione ex ante”. Smart working e gig economy banchi di prova

Pubblicato il 26 Gen 2021

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L’ingresso massiccio nei sistemi di produzione delle tecnologie ha prodotto effetti “disruptive” sull’organizzazione del lavoro e sui processi aziendali. La pandemia da Covid 19, con le conseguenti restrizioni, ha poi contribuito ad accelerare ulteriormente quella che viene definita “la grande trasformazione del lavoro”. In questo quadro anche il sindacato è chiamato a modificare il suo modo di organizzarsi ed agire. Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil, delinea le nuove sfide e le azioni che andrebbero messe in campo per vincerle quelle sfide.

Scacchetti, i processi di disintermediazione in atto da anni e il ruolo cruciale che giocano i social oggi in questo processo sembrano aver messo le grandi organizzazioni collettive – partiti e sindacati in primis – all’angolo. Lei che idea si è fatta?

Certamente colossali processi come la globalizzazione, la delocalizzazione e, appunto, la trasformazione digitale hanno contributo ad erodere la capacità dei sindacati di fare presa sulla collettività. In un mondo del lavoro che si polarizzava sempre di più tra centro e periferia e dislocava la produzione, è stato difficile continuare ad operare in maniera efficace con riti e strumenti del secolo scorso. Con il risultato che i lavoratori erano sempre meno consapevoli dei meccanismi alla base del funzionamento dell’azienda e della sua organizzazione. Situazione, questa, che si è andata aggravando con il ricorso all’uso degli algoritmi. Penso, ad esempio, a quelli utilizzati per la selezione del personale oppure a quelli per la definizione di orari o attività. O ancora a quelli che fanno funzionare le piattaforme di food delivery. In questo quadro la grande sfida del sindacato oggi è quella del governo dell’algoritmo.

Che significa “governare” l’algoritmo?

Significa che nei processi di sviluppo di questi sistemi deve essere garantita la massima partecipazione dei lavoratori. In che modo? Definendo una contrattazione ex ante dell’algoritmo che lo renda strumento di conoscenza all’organizzazione dell’azienda. Solo così si può assicurare che questi sistemi siano inclusivi e non discriminatori. In pratica dobbiamo pensare a forme di partecipazione nelle fasi di progettazione che rendano di nuovo i lavoratori soggetti attivi dei processi.

Per questo servono nuove competenze.

Servono nuove competenze nel sindacato e anche nuove energie, a mio avviso. Da un lato è cruciale avviare progetti di formazione sindacale che affrontino proprio i temi legati alla digitalizzazione, dall’altro serve allargare la platea dei nostri iscritti coinvolgendo i quadri intermedi e anche le professionalità più “alte” perché sono quelle le più vicine alla definizione della nuova organizzazione aziendale “guidata” dalla tecnologia. Si tratta di ricostruire un senso di collettività che, nel tempo, è andata perso in parte anche a causa di una narrazione, eccessivamente ottimistica, che ha accompagnato la diffusione delle nuove tecnologie.

In che senso?

Prendiamo l’esempio delle piattaforme di food delivery. Al debutto, queste si sono presentate come la nuova frontiera del lavoro autonomo: i riders potevano lavorare quando e come volevano. Nel tempo si è scoperto che così non era e che, proprio l’algoritmo, non lasciava alcun tipo di libertà se non quella di non lavorare affatto. Il risultato è stato che per molto tempo i lavoratori sono rimasti soli davanti a quell’algoritmo. Quando hanno cominciato ad organizzarsi come “collettività” sono invece riusciti a sollevare il dibattitto sui diritti dei lavoratori delle piattaforme. Che ricordiamolo, non solo i riders. Ci sono anche i crowdworkers: baby sitter, idraulici, traduttori che lavorano a chiamata. Ecco, il sindacato oggi deve riuscire ad aggregare tutti questi soggetti dentro un grande disegno collettivo fatto di diritti, di responsabilità e di partecipazione all’organizzazione dell’azienda.

Ma oggi il sindacato è pronto a farlo?

È innegabile che scontiamo molti ritardi. Tornando ai riders, ad esempio, è vero che i confederali sono arrivati tardi rispetto a quelli auto-organizzati. Ma è anche vero che, una volta che ci siamo seduti al tavolo, abbiamo potuto mettere a disposizione il nostro bagaglio di conoscenze, di tradizione, di capacità di relazione con i lavoratori che ancora oggi sono risorse preziose a tutela dei diritti vecchi e nuovi.

A proposito di capacità di relazione con i lavoratori: lo smart working, che sarà uno dei grandi cambiamenti del “new normal”, porterà i lavoratori ad operare in luoghi diversi rispetto all’unica sede aziendale, fabbrica o ufficio che sia. I sindacati rischiano di perdere terreno oppure ci sono modi per non lasciarsi schiacciare dalla trasformazione?

Prima di tutto sgomberiamo il campo da equivoci: lo smart working non è la completa remotizzazione del lavoro, ma una forma ibrida che contempla anche il lavoro a distanza. Detto questo, è chiaro che serve utilizzare al meglio le capacità delle nuove tecnologie di mantenere in connessione le persone. E qui emerge forte un tema contrattuale. Così come negli accordi “tradizionali” tra le parti, le aziende si impegnano a dare ai sindacati luoghi dove fare le assemblee, ad esempio; così nella contrattazione relativa allo smart working ci deve essere lo stesso impegno a dotare i lavoratori organizzati di sale “virtuali” dove fare attività sindacale.

Rimanendo sul contratto, c’è un dibattitto molto ampio sul diritto alla disconnessione…

È l’altra grande sfida del lavoro agile. È chiaro che nella contrattazione questo deve essere un elemento riconosciuto. Così come lo deve essere il mantenimento dei buoni pasto e l’impegno delle aziende a contribuire al pagamento delle utenze, pena l’erosione del potere di acquisto del lavoratore. Ma oltre che una sfida, lo smart working può diventare anche una leva per ampliare quella collettività di cui ho detto sopra.

Come?

Valorizzando gli spazi di coworking dove, tipicamente, si incontrano persone che fanno lavori diversi, che hanno competenze e interessi diversi ma che proprio per questo possono dare nuova vitalità al sindacato che verrà.

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