Duro scambio di accuse e prese di posizione tra l’amministrazione americana e i colossi della rivoluzione digitale, messi alla sbarra per i privilegi e gli abusi che ne avrebbero contraddistinto l’attività negli ultimi anni. I numeri uno di Amazon, Google, Facebook e Apple sono comparsi ieri – in videoconferenza – di fronte al Congresso federale degli Stati Uniti, per una audizione segnata da atti d’accusa che sono provenuti sia dai parlamentari repubblicani che dai democratici. L’audizione – la prima che ha visto comparire insieme i quattro Ceo le cui società hanno un valore di mercato combinato di circa 5 mila miliardi di dollari – ha messo in luce la crescente frustrazione dei legislatori nei confronti dei colossi del web Usa e di una posizione semi-monopolistica derivata dai trattamenti di favore ricevuti dalla regolamentazione americana, che avrebbe permesso alle imprese imputate di raccogliere e gestire in maniera sempre più pervasiva e opaca le informazioni personali di milioni di utenti, con la possibilità di indirizzarne l’accesso all’informazione e influenzarne gli orientamenti politici. Tra i temi scottanti dell’audizione ci sono stati per l’appunto la moderazione dei contenuti web, le tattiche adottate per guadagnare posizioni di monopolio in mercati come la pubblicità digitale e l’e-commerce, le strategie di acquisizione, e la cooperazione con il governo cinese.
David Cicilline, membro democratico della commissione Giustizia della Camera, ha aperto le ostilità affermando che “i nostri padri fondatori non si sarebbero mai inchinati a un sovrano, e noi non dovremmo inchinarci agli imperatori dell’economia online”.
Amazon e il problema della concorrenza
L’audizione ha esibito i rischi, in apparenza sempre più concreti, che i colossi del web scontano sul fronte delle molteplici indagini avviate a loro carico dalle autorità antitrust statunitensi. A Jeff Bezos di Amazon, per esempio, sono state contestatele email interne e le testimonianze da cui emerge un profilo di abuso della posizione dominante. L’amministratore delegato di Amazon ha dovuto rispondere delle accuse di prevaricazione dei piccoli rivenditori indipendenti sulla piattaforma online, specie dopo un recente articolo del Wall Street Journal secondo cui dipendenti di Amazon hanno utilizzato la vasta mole di dati dei venditori per lanciare prodotti concorrenti.
Le accuse rivolte a Google
Senza mezzi termini, Cicilline ha accusato Google di furto. “Perché Google ruba contenuti da aziende oneste?” ha chiesto, sottolineando che Mountain View avrebbe rubato recensioni da Yelp e minacciando di eliminare il gruppo dai risultati di ricerca se avesse obiettato. L’amministratore delegato Sundar Pichai ha risposto pacatamente, dicendo che avrebbe voluto conoscere i dettagli dell’accusa. “Ci comportiamo secondo gli standard più elevanti”, ha aggiunto, in disaccordo con la critica.
Da parte repubblicana, il rappresentante Jim Jordan ha accusato le compagnie di ostacolare i conservatori dal raggiungere i loro sostenitori con un oscuramento ormai sistematico di contenuti e utenti di quell’orientamento politico. Pichai, come i suoi colleghi, ha tentato di perorare l’identità statunitense delle aziende del web, nonostante l’attivismo progressista dei loro dipendenti, culminato nell’interruzione di programmi di cooperazione con il Pentagono e da pressioni interne sempre più forti a negare servizi di base anche alle forze dell’ordine statunitensi. Ma Jordan ha fatto pressioni proprio su Pichai per sapere se Google avrebbe aiutato l’ex vicepresidente Joe Biden, il presunto candidato alla presidenza democratica, a vincere a novembre. “Supportiamo entrambe le campagne. Affrontiamo il nostro lavoro in modo non partigiano”, ha risposto Pichai.
I dubbi sulla condotta di Facebook
“Il nostro obiettivo è offrire una piattaforma per tutte le idee”, si è difeso Mark Zuckerberg. “Vogliamo dare voce a tutti nel mondo”. Il numero uno di Facebook ha poi replicato a una serie di domande sull’acquisto di Instagram da parte della società nel 2012. La piattaforma era davvero una minaccia, come era stato soprannominato il social in un’e-mail ottenuta dal comitato? Zuckerberg ha risposto che Instagram all’epoca era una piccola app di condivisione di foto e non un fenomeno di massa. In uno dei passaggi più importanti, il rappresentante Pramila Jayapal, democratica, ha pungolato Zuckerberg sul fatto che Facebook avesse copiato i suoi concorrenti. “Abbiamo sicuramente adattato le funzionalità che altri hanno portato sul mercato”, ha risposto il manager.
Apple difende le politiche dell’App store
Al numero uno di Apple, Tim Cook, i legislatori hanno riservato un trattamento meno ostile, anche se l’amministratore delegato ha dovuto difendere le politiche adottate dall’App Store della sua azienda. “Gli sviluppatori possono scrivere le loro app per Android o Windows o Xbox o PlayStation. Abbiamo una forte concorrenza da parte degli sviluppatori e dei clienti, che è così competitiva da poter essere descritta come una lotta di strada”, ha detto Cook.
Sul dibattito è intervenuto indirettamente anche il presidente Donald Trump, che sul proprio profilo Twitter ha scritto: “Se il Congresso non porterà equità nel settore del Big Tech, come avrebbe dovuto fare già da anni, sarò io stesso a farlo, tramite ordini esecutivi. Washington non ha fatto che blaterare e rimanere inattiva per anni, e i cittadini del nostro Paese ne hanno abbastanza!”.
L’audizione si è così conclusa, nel complesso, senza vinti e vincitori, ma si tratta evidentemente solo del primo round che le quattro aziende hanno dovuto affrontare. Un rapporto dettagliato con accuse antitrust contro le quattro piattaforme tecnologiche e raccomandazioni su come ridimensionare il loro potere di mercato potrebbe essere rilasciato entro la fine dell’estate o all’inizio dell’autunno dal comitato. “Ciò che abbiamo ascoltato dai testimoni in udienza ha confermato le prove che abbiamo raccolto nell’ultimo anno”, ha confermato a Reuters David Cicilline.