«Il postino suona sempre due volte» è il titolo del bel romanzo di James M. Cain. Oggi a distanza di più di ottanta anni l’autore forse ne userebbe un altro: “il postino non suona mai”. Per le nostre Poste infatti suonare non è più la cosa principale, troppo prese da mille attività collaterali dai nomi inglesizzanti per pensare al povero italiano che confida ancora di vedere comparire qualcosa nella buca delle lettere.
Figura ormai evanescente, il servizio postale è relegato, anche per complicità di chi dovrebbe controllare, nel bagagliaio della pachidermica macchina di Poste Italiane, un’automobile lanciata a tutta velocità verso l’imminente privatizzazione di almeno il 40% della Società.
L’appuntamento è a Piazza Affari per il 3 novembre prossimo con un’offerta pubblica (retail) pari al 30 per cento e un’offerta istituzionale pari al 70 per cento estesa anche negli Usa. La tempistica prevista prevede la pubblicazione del prospetto informativo il 14 ottobre e l’offerta tra il 19 e il 29 dello stesso mese. Un’operazione da cui il Tesoro punta ad incassare qualche miliardo e che costituirà, almeno nelle speranze, il fiore all’occhiello delle privatizzazioni renziane. Peccato per i poveri italiani ancora in attesa del postino ai quali in queste roboanti previsioni nessuna pare abbia pensato.
Si sa, ormai c’è internet, anche se i primi a non usarlo sono quelli del Governo con annesse le loro pubbliche amministrazioni. Un servizio pubblico necessario, vanto di tutti gli Stati che si rispettano, è andato a farsi benedire nel più completo disinteresse. E così: poveri pensionati allo sbando, bollette sempre morose, raccomandate da rintracciare con vere e proprie cacce al tesoro.
Intanto al disservizio si somma la beffa. Pagare i bollettini postali allo sportello costa da qualche giorno 20 centesimi in più. Un aumento che porta il pagamento dei bollettini di conto corrente da 1,30 a 1,50 euro; le commissioni per Rav e F35 allo sportello a 1,63 euro; e le multe a 1,99 euro.
Ma è inutile lamentarsi, come inutile è sottolineare che la privatizzazione di Poste è sbagliata per diversi motivi. Ci si priva innanzitutto di un’infrastruttura sociale e amministrativa che assicura il servizio postale universale (cioè uguale per tutti), servizi di gestione del risparmio, assicurativi e servizi universali di pagamento a cittadini e imprese.
La privatizzazione farà poi perdere allo Stato un formidabile strumento di finanziamento del suo debito e dei suoi investimenti. Oggi Poste raccoglie a vario titolo quasi 500 miliardi contribuendo in maniera diretta o indiretta a finanziare Cassa Depositi e Prestiti e Tesoro (500 miliardi sono quasi un quarto del debito pubblico totale).
Infine, si rischia di fare un enorme regalo ai sottoscrittori delle azioni se i prezzi di vendita dovessero essere confermati. Così ancora una volta una privatizzazione finirebbe per essere una netta svendita di patrimonio pubblico visti i valori effettivi della società. Insomma le Poste metafora dell’Italia di oggi, metafora come quelle del mirabile postino di Troisi.