Ieri il cosiddetto Sharing Economy Act (Sea) è approdato presso le Commissione congiunte Trasporti e Attività produttive, presentato da alcuni deputati di maggioranza e minoranza appartenenti all’Intergruppo parlamentare per l’innovazione. Questa prima tappa istituzionale permette di trarre alcune conclusioni sui punti fondamentali di una legge che si propone di regolamentare un fenomeno già sviluppatosi all’interno del mercato.
Sicuramente il vantaggio più grande che questo primo e perfettibile tentativo sta ottenendo è quello di anticipare le altre realtà europee che hanno accolto positivamente il fenomeno della condivisione (valore stimato di 572 miliardi in Europa), permettendo la coniugazione di innovazione, sviluppo economico e condivisione sociale, ma allo stesso tempo hanno dovuto affrontare i medesimi scontri culturali che si sono verificati in Italia. Dove le associazioni di categoria e, in generale, i soggetti portatori di “rendite di posizione” garantite dal sistema storico hanno protestato vistosamente.
Partendo dalla definizione di Sharing Economy e dei servizi che offre, dal testo emerge una fondamentale contraddizione. Il concetto di “economia della condivisione” espresso sembra allargare le proprie maglie, considerando più la “prestazione di un servizio” o il “nolo di un bene” piuttosto che concentrarsi sul modello di accessibilità diffusa e condivisione solidaristica. Questa può essere una scelta coerente e inclusiva se non fosse che il resto della proposta di fatto esclude piattaforme quali Uber, ed AirBnB. E gli stessi autori lo hanno confermato.
Permane dunque una frattura fondamentale di questo nuovo mercato: devono essere inclusi o no servizi “on demand”? Se no, come sembra, come dovrebbero essere regolati?
Inoltre l’Art. 3 introduce una forzatura che contrasta con l’idea di fondo della proposta ossia promuovere il libero sviluppo del fenomeno e la semplificazione del cittadino. L’introduzione di un registro presso Agcm cui le piattaforme dovrebbero essere obbligatoriamente incluse, pena l’illegittimità, pare l’ennesima burocratizzazione vincolante nei confronti del privato. Inoltre essendo il controllo preventivo crea una vera e propria contraddizione in seno al concetto di Authority. Gli antitrust infatti sono autorità costituite per regolare un mercato già formatosi intervenendo qualora vi siano irregolarità e condotte anticoncorrenziali. Nel Sea l’Agcm va oltre l’imparzialità dell’arbitro, trasformandosi in Camera di Commercio.
Ma qualche lato positivo vi è. Ad esempio il divieto effettivo di inserire nel documento di politica aziendale delle piattaforme tariffe obbligatorie per gli utenti operatori (ossia i proprietari dei beni in condivisione) che ostacolerebbero il corretto funzionamento delle regole di mercato. Anche la previsione di pagamenti con transazione elettronica in via esclusiva sembra essere lungimirante e in ottica di trasparenza.
Più oscuro pare il punto in cui si vieta il controllo dell’esecuzione della prestazione dell’utente operatore da parte della piattaforma tramite hardware e software. È poco chiaro infatti se si tratti di monitorare semplicemente l’utilizzo che si fa del bene (km percorsi, numero di utilizzi per utente utilizzatore etc.) oppure se comprenda anche la valutazione del servizio in toto. Nel primo caso infatti basterebbe prevedere il consenso esplicito dell’utente operatore e dell’utente utilizzatore finale alla raccolta dei dato oppure prevedere a prescindere l’anonimato con una corretta informativa nei confronti delle parti interessate.
Sulle previsioni in merito alla fiscalità la questione è complessa e il preliveo fiscale verrà probabilmente stabilito da future modifiche al ddl che sembrano quanto mai probabili.
Tirando, dunque, le somme riguardo a questo Sea ci troviamo di fronte ad un embrione normativo che, come già accennato, rimane sicuramente perfettibile, ma in alcune parti è coerente con l’idea di fondo: la legislazione deve essere light e deve mirare nei principi al rispetto del libero mercato, tutelando gli utilizzatori. Allo stesso tempo la scelta di mettere a disposizione una consultazione online pubblica segna un importante passo avanti nella metodologia del decisore pubblico che si sta dimostrando sempre più aperto all’intervento degli stakeholder e dei cittadini. Tutto ciò non può che essere di buon auspicio.