IL CASO

Leonardo, scoppia il caso tangenti. Sotto inchiesta il fornitore TransPart e due società Google

La Procura di Milano scopre un sistema di presunti pagamenti illeciti: 14 le persone fisiche indagate, più le tre entità giuridiche. La società guidata da Profumo parte lesa. Un portavoce di Mountain View: “Massima collaborazione alle indagini”

Pubblicato il 13 Gen 2021

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Riciclaggio, reati fiscali e corruzione tra privati: sono questi i capi d’accusa attorno a cui ruota l’inchiesta condotta dal Pm di Milano Gaetano Ruta su un giro di presunte tangenti che ha riguardato 14  persone, tra le quali 10 dipendenti di Leonardo, in cui l’azienda guidata da Alessandro Profumo risulta  parte offesa e ha collaborato con le attività degli inquirenti. Nell’ambito dell’indagine, che ha visto ieri l’intervento del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza per le perquisizioni che si sono svolte nelle sedi di Leonardo di Pomigliano d’Arco e Roma, risultano quindi indagate complessivamente 14 persone e tre società: il fornitore TransPart e, in base alla legge sulla responsabilità degli enti, Google Ireland e Google payments. Il titolo di Leonardo a Piazza Affari questa mattina ha ceduto l’1,5% anche in conseguenza di questa vicenda, ma gli analisti escludono che questa vicenda possa avere per il resto impatti di qualche rilievo sulle attività della società.

Durante l’inchiesta gli inquirenti hanno concentrato l’attenzione su TransPart, società con sede a Milano di intermediazione nella distribuzione di materiali ed equipaggiamenti utili ad esempio nel settore militare, nell’aerospazio, nei trasporti e nel petrolchimico, di cui sono stati indagati quattro tra manager e dipendenti. Il ruolo di quattro degli indagati, dipendenti e manager del fornitore, secondo quando ricostruito dalla Procura sarebbe stato quello di riuscire a ottenere commesse grazie alle informazioni riservate ottenute dai dipendenti di Leonardo coinvolti, nessuno dei quali – stando a quanto riferisce l’azienda – ricopre incarichi dirigenziali. In cambio di questi “favori” sarebbero state corrisposte loro regalie, dai buoni benzina a quelli per effettuare acquisiti in negozi di elettronica, oltre che compensi erogati ad esempio come contratti di consulenza fittizi che arrivavano a fruttare dai 1.500 euro al mese ai 25/30 mila all’anno, pari a una percentuale variabile dall’1,5% al 3.5 % di provvigioni.

Secondo quanto accertato dagli investigatori l’illecito andava avanti almeno dal 2015, e sarebbe stato alimentato da un sistema di fondi neri, in tutto circa sei milioni di euro, che gli indagati della società milanese avrebbero creato convogliandovi attraverso un complicato meccanismo alcuni fondi provenienti da commesse ottenute lecitamente da società all’estero, dopo un passaggio su tre conti off-shore a Panama, in Uk e in Irlanda.

A questo punto entrerebbe in gioco il ruolo svolto da Google Ireland e Google Payments: attraverso due “riciclatori” gli indagati si sarebbero serviti dei servizi delle due società per “il trasferimento di somme di denaro provento di frode fiscale”, frapponendo ostacoli all’ “identificazione della provenienza delittuosa”, quindi senza consentire che si potesse “risalire all’identificazione del soggetto che ha disposto i bonifici”. Sotto la lente degli investigatori sono finite complessivamente 25 operazioni per un totale di 400mila euro.

“Naturalmente presteremo la massima collaborazione alle indagini”, sottolinea un portavoce di Google, spiegando come le due società del gruppo di Mountain View abbiano ricevuto, “nell’ambito di una più vasta indagine, una informazione di garanzia per una ipotesi di illecito amministrativo in relazione a movimentazioni finanziarie che sarebbero state effettuate utilizzando le nostre piattaforme”.

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