Quasi cento parlamentari hanno messo la loro firma sotto un disegno di legge che propone, primi al mondo, l’obbligo dell’offerta del servizio di wi-fi libero da password e gratuito a chiunque lo voglia. Ne sarebbero sottoposti tutti gli esercizi commerciali con superficie superiore ai 100 mq e almeno due dipendenti, gli uffici comunali aperti al pubblico, le scuole, gli ospedali e le strutture sanitarie, i trasporti pubblici e di linea.
Le intenzioni sono ottime: favorire l’utilizzo di Internet rendendo capillari, gratuiti, facili da usare i punti di accesso pubblico alla rete.
Tuttavia, non sempre le buone intenzioni sono sinonimo di buon ragionamento, né la fretta è buona consigliera. Forse così si spiegano alcune incongruenze tecniche del ddl evidenziate dai primi commentatori. Così come è ignorata la prevedibile opposizione della Ue al finanziamento pubblico del solo wi-fi, in barba al principio della neutralità tecnologica. La vicenda dei decoder per il digitale terrestre dovrebbe avere insegnato abbastanza. Siamo abilissimi a fare leggi inapplicabili.
Inoltre, è così prioritario impegnare soldi pubblici in una simile operazione quando il mercato della mobilità va in direzione diversa? L’affermarsi delle tariffe dati flat e l’arrivo dell’Lte stanno rendendo obsoleto l’Internet “nomadico”, di moda qualche anno fa. Si vuole essere i primi al mondo col wi-fi obbligatorio: si rischia di essere gli ultimi ad accorgersi che il mondo è cambiato!
È meglio concentrare attenzioni e risorse sulle reti di accesso piuttosto che sui terminali wi-fi. La recentissima analisi congiunta Agcom-Agcm sullo stato del broadband in Italia ribadisce chiaramente quali sono i veri nodi.
Non si tratta di rifugiarsi nel “benaltrismo”, ma di concentrare le risorse sulle priorità. Senza farsi distrarre da tentazioni di dirigismo d’altri tempi che poco hanno a che fare con la copertura del digital divide, la diffusione della cultura digitale, lo sviluppo dei servizi Internet.
Godere Internet gratis mentre si sorseggia un cappuccino è un fattore competitivo per i locali che lo propongono, non è un business di Stato. Più che il Guiness dei Primati a noi interessano le classifiche dell’Ocse.