«Onestamente da un governo che ha sventolato la trasparenza come bandiera della sua azione, un passo indietro così grossolano non ce lo saremmo mai aspettati”. Mirella Liuzzi, deputata del Movimento 5 Stelle e componente della Commissione Trasporti e Tlc della Camera, ci va giù pesante con le critiche al decreto attuativo del ddl Madia che introduce, anche in Italia, il Foia ovvero il diritto di accesso civico alle informazioni della pubblica amministrazione.
Cosa non va nel testo?
Partiamo da un fatto di metodo. Quel decreto a cui il ministro Madia sta lavorando non è ufficialmente visionabile: è stato riscritto uno dei più importanti testi per il buon funzionamento della pubblica amministrazione e gli unici rilievi che si possono fare sono frutto di bozze che circolano in Rete. In barba alla tanto decantata trasparenza di cui si fregia il governo. Sarebbe stato, invece, trasparente e corretto coinvolgere ed aprire un dibattito pubblico in fase di preliminare, avviando una consultazione pubblica ad esempio.
Metodo a parte, che giudizio dà sul contenuto?
Analizzando con attenzione le bozze a disposizione emergono alcuni punti peggiorativi rispetto al precedente decreto Trasparenza.
Ad esempio?
Nella bozza c’è una dicitura troppo ampia del concetto di “eccezione all’accesso dei dati”. In pratica la pubblica amministrazione avrebbe troppa discrezionalità nel decidere a quali informazioni il cittadino non ha il diritto di accesso. Sarebbe necessario definire in maniera più dettagliata quali dati sono esclusi dal Foia. Altrimenti si rischia di tradire lo spirito stesso della legge delega.
Il decreto dà all’amministrazione 30 giorni di tempo per rispondere alle richieste. Lo giudica un tempio ragionevole?
Il tema vero non è il numero di giorni a disposizione delle PA, ma la modalità. L’ente avrà, sì, un mese di tempo ma, passato questo, qualora non rispondesse la domanda cadrebbe nel vuoto. Si chiama “silenzio-diniego”.
E cosa non va nel “silenzio-diniego”?
Questa formula non obbliga la PA a spiegare i motivi per i quali l’accesso viene negato, come invece aveva delegato il Parlamento al Governo. Una pubblica amministrazione efficiente, trasparente ed innovativa non deve avere paura di motivare le proprie azioni. Il “silenzio-diniego” è l’ulteriore alibi che si dà al comparto pubblico per non interagire coi cittadini.
I cittadini però potrebbero fare comunque ricorso al Tar.
I ricorsi al Tar sono troppo costosi. Si rischia che ci sia una “trasparenza a due velocità”: una per chi si può permettere di far valere i propri diritti davanti al tribunale e un’altra, meno efficace, per chi non potrà ricorrere contro la PA.
Una soluzione?
Si potrebbe pensare a un processo accelerato davanti ad un’autorità indipendente, ad esempio.
Comunque il funzionario che non risponderà sarà sanzionato…
Le sanzioni sono un altro tasto dolente. Nella bozza si parla di sanzioni disciplinari che, a mio avviso, non sono abbastanza dissuasive. Forse sarebbe il caso di essere più incisivi su questo fronte.
Non salva nulla di questo decreto?
In linea teorica la positiva intenzione di volerne estendere i contenuti dalla pubblica amministrazione ai soggetti da questa controllati: società partecipate ma anche associazioni che per la maggior parte vivono di finanziamento pubblico.