Se Uber annuncia la sua quotazione – ed è molto probabile che accada, sostiene la stampa finanziaria americana – potrebbe arrivare a quota 90-100 miliardi di dollari. Lyft, il suo concorrente, che è quotato in Borsa da pochissimo tempo (a fine marzo), già risente degli effetti anticipati dell’entrata nel mercato azionario del suo principale avversario e ha perso l’11% in un giorno. C’è una ragione. Secondo il processore Aswath Damodaran, della New York University, il titolo dell’azienda dovrebbe essere trattato a 59 dollari, cioè pari a circa 15 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato complessiva. Come riporta Cnbc, che ha intervistato l’esperto, questo porterebbe via 2,2 miliardi di dollari dall’attuale valutazione dei mercati di 17,2 miliardi.
Secondo il professore, il problema è nel modello di business: «L’autista è libero di agire come vuole. Anche il cliente è libero di agire come vuole. Non c’è alcun tipo di “collosità” che tenga insieme le attività di business, nessun attrito positivo per l’azienda. E loro questo lo sanno. È uno dei problemi di base che si trovano nel settore del ride-sharing, non solo con Lyft, ovviamente».
Uber, secondo varie voci, dovrebbe presentare a giorni, se non ore, la sua IPO, offerta iniziale di acquisto. E vendere circa 10 miliardi di dollari in azioni (prezzo iniziale), in maniera tale peraltro da presentarsi come una delle più grandi quotazioni di sempre. Molto meno rosee le prospettive attuali per Lyft: l’azienda era entrata in Borsa un paio di settimane fa con un prezzo di 72 dollari per azione, che adesso è ridotto a 60,12: meno 14 per cento in quindici giorni. E potrebbe non essere ancora finita qui.
Il momento, a parte la concorrente Uber che potrebbe arrivare sul mercato a breve, è piuttosto complicato per l’azienda, perché ci sono in realtà altre quotazioni tecnologiche di spessore che potrebbero portare l’attenzione degli investitori – soprattutto quelli istituzionali – verso altri obiettivi: oltre come detto a Uber, ci sono ad esempio Pinterest e Palantir.
Quello che poteva essere un percorso molto facile si sta trasformando in una serie di oscillazioni che, in così poco tempo, ancora non definiscono chiaramente una direzione, cioè una traiettoria e una tendenza, per il titolo. La cifra dell’immissione sul mercato era troppo alta? È una “perdita di peso neonatale fisiologica”, che verrà compensata da una crescita in un secondo tempo? Ad avere il mal di testa più forte non sono gli investitori istituzionali in questo momento ma i venture capitalist che cominciano a preoccuparsi della tenuta delle loro exit strategy in futuro.
Sono loro infatti che vendono buona parte dei titolo anche dopo giorni dalla quotazione per lucrare sull’auspicabile tendenza al rialzo a trovarsi adesso in maggiore difficoltà. E soprattutto, sono loro che devono realizzare dalla immissione sul mercato delle prime azioni delle nuove matricole attese a giorni sul floor di Wall Street. Come ha spiegato Harris Kupperman, il responsabile del fondo di investimento Praetorian Capital, «Dal momento che chiunque abbia acquistato un’azione di Lyft in Borsa adesso è sott’acqua, sospetto che il desiderio di acquistare una azione della prossima di queste Ipo degli unicorni sia sostanzialmente ridotto, se non azzerato». E questo non è una buona notizia per i capitalisti di ventura né per il mercato in generale.