I continui fenomeni di innovazione digitale – che riguardano innanzitutto il settore delle comunicazioni elettroniche, fisse e mobili – generano effetti complessi sulla tutela dei consumatori sui quali occorre riflettere. Da un lato, l’innovazione digitale incrementa le tutele migliorando la trasparenza informativa, permettendo il monitoraggio istantaneo, ampliando le opzioni di scelta, velocizzando i tempi di segnalazione e risoluzione dei problemi e così via.
Dall’altro, essa modifica l’oggetto dei contratti, la qualità delle prestazioni, la numerosità e la varietà dei servizi, e , di converso, il costo degli stessi. Nei contratti di durata questi due aspetti possono arrivare persino a confliggere.
L’innovazione dei servizi infatti ha un costo e non sempre i consumatori sono disposti a pagarne il prezzo prima di averne misurato la portata. Capita cosi che molti servizi innovativi, in quanto ‘beni esperienza’ siano inizialmente oggetto di promozioni gratuite o scontate e solo successivamente prezzate.
Ma quando ciò accade si apre il campo delle cosiddette variazioni contrattuali se non addirittura a nuovi contratti se le modifiche anche qualitative sono significative.
Il problema che si pone è allora quali e quante tutele dare al consumatore. Se per far variare prezzi o altre condizioni contrattuali occorre un esplicito ‘si’, il rischio è che molti consumatori inerti o persino sospettosi di truffe finirebbero per non cambiare le attuali condizioni e non fare nuove esperienze, anche a rischio di perdere rilevanti benefici. Se al contrario, l’operatore può modificare le condizioni lasciando solo l’opzione di recesso, il rischio è che l’inerzia del consumatore lo induca a pagare servizi non richiesti e che non desidera.
Il guaio è che in entrambi i casi si realizzerebbe una relazione sbagliata tra tutela del consumo e incentivi all’innovazione.
Una strada percorribile è allora quella di caratterizzare la relazione consumatore-impresa come una relazione dinamica e con contratti che governino anche le regole con le quali gestire il cambiamento.
Ad esempio, i contraenti potrebbero indicare alcune soglie percentuali massime di variazione di parametri fondamentali del contratto, al di là delle quali scatti la necessità di ottenerne il consenso rispetto alle variazioni apportate. Un’altra regola potrebbe prevedere meccanismi simmetrici di entrata e di uscita da un contratto. Se basta un clic per aderire, lo stesso deve essere sufficiente per recedere.
Un’altra regola (most favoured customer rule) potrebbe prevedere di esser subito trasferiti a offerte migliorative dati i propri profili di consumo o quantomeno di esserne informati. Queste semplici regole necessitano di una informazione semplificata, accessibile ed immediata.
Così, se si riceve sul proprio smartphone un messaggio che informa di una variazione contrattuale, perché dover cercare ulteriori informazioni su una pagina web? Quel messaggio dovrebbe permettere di fare una scelta selezionando un’opzione o offrire un link di collegamento diretto. Oppure di confermare o meno una proposta rispondendo ‘si’ o ‘no’ e magari ricevendo un messaggio di conferma.
E tutte queste modalità potrebbero essere esse stesse oggetto di un contratto iniziale che disciplini anche le opzioni di scelta futura, responsabilizzando consumatore e imprese.
Il consumatore non va lasciato solo, quando dopo la sottoscrizione di un contratto si trovi di fronte ad un mondo che non era stato capace di valutare in prima istanza. Ma al tempo stesso il consumatore va lasciato libero di scegliere, di conoscere e di conoscersi, di fare esperienza, di fare errori.
Questa sembra oggi la nuova frontiera della tutela del consumo: incoraggiare regole flessibili che permettano di governare le dinamiche innovative dal lato dell’offerta. Perché è vero che tutele rigide sacrificano la libertà di scelta in favore della massima protezione. Ma è anche vero che consumatori senza libertà finiscono per privarsi anche dei benefici dell’innovazione.