Negli ultimi anni la rete ha giocato un ruolo sempre più rilevante nella politica, sia per chi l’ha usata, sia per chi non l’ha voluta o saputa usare. Da tempo si insiste sulle possibilità del mezzo per lo sviluppo non solo dell’economia, ma della stessa democrazia.
Il nuovo Presidente del Consiglio ha messo il tema al centro del suo programma. Tutto bene dunque? In effetti più di un dubbio c’è. In genere le strutture dei blog politici, compreso quello di Grillo, sono utilizzati più un palcoscenico che come uno spazio di confronto e discussione dal basso. Il cosiddetto flusso interattivo è mono-direzionale e non interattivo. Non tentano di rendere più orizzontale ed inclusivo il rapporto con i cittadini, ma sono utilizzati soprattuto come strumento di comunicazione personale e di mobilitazione. Ma la cosa che più desta dubbi non è questa. Il tema più delicato riguarda le modalità più o meno conosciute di manipolazione del consenso online, sia esso indirizzato all’acquisto di un prodotto che all’adesione di un movimento o partito. Alcuni aspetti sono noti come quelli relativi all’acquisto di “like”su Facebook o follower su Twitter o ancora di recensioni positive (Magicviral).
In Italia sono diverse le società specializzate nell’offerta di molteplici forme di servizi di marketing virale (Ninja Marketing) o non convenzionale, come il buzz marketing, cioè il passaparola sul web. E sono anche note le tecniche sempre di marketing non convenzionale tese a nascondere gli aspetti ingannevoli e manipolatori di queste pratiche (Slideshare). Insomma, una serie di metodiche sempre più sofisticate nate al servizio di interessi commerciali (Tagliaerbe.com) ed ora utilizzate per fare endorsement a soggetti politici. Ma il rapporto tra rete e democrazia non può essere questo.
Trasparenza e liquidità dovrebbero caratterizzare queste nuove opportunità democratiche. Un rischio di cui bisogna avere consapevolezza anche se non è così semplice gestire la brand image di un movimento o di un politico a causa, paradossalmente, proprio dell’alto numero di consensi (e quindi di corrispettivi dissensi). Nelle forme tradizionali di social politico sono presenti sistemi di moderazione (moderatori che possono cancellare commenti ed interventi nonché bannare gli iscritti dalla community) caratteristici dei forum, primi strumenti di interazione a cavallo tra il web 1.0 ed il web 2.0, meno snelli, immediati e democratici dei social network (Facebook, Twitter ecc). Questi ultimi, al contrario, non risultano, per questioni tecniche, gestibili al 100% ed è in essi che si stanno evidenziando vari “scivoloni” e falle, come ad esempio quelle emerse nell’uso straripante ed invasivo di Twitter.
Spesso poi si tratta di siti caratterizzati da una grafica molto basica, di scarso impatto e di chiara matrice “blog”, con una possibilità di interagire e di reperire dal sito stesso informazioni molto limitate, con rimando a contatti quali e-mail e telefono, in un’ottica molto web 1.0 e molto poco web 2.0.
Mettere al centro della politica le opportunità della rete significa perciò anche riflettere sul bivio tra un uso della stessa solo per formare consenso (con tutti i rischi di televisiva memoria) ed un’occasione di reale e piena trasparenza e partecipazione dei cittadini.