Deposizione durata un’ora e mezza davanti ai magistrati della Procura di Milano per Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente e amministratore delegato di Mediaset, ascoltato come persona informata sui fatti nell’inchiesta che vede tra gli indagati i vertici di Vivendi, nelle persone del presidente Vincent Bollorè e dell’amministratore delegato Arnaud de Puyfontaine. L’ipotesi di reato è quella di “manipolazione del mercato” per la scalata a Mediaset. “Sono qui come teste, non posso dire niente, è tutto coperto da segreto”, ha detto il manager uscendo dal tribunale, dopo essere stato ascoltato dal pm Silvia Bonardi, titolare dell’inchiesta coordinata anche dal pm Fabio De Pasquale, a capo del pool reati economico-finanziari. Ai cronisti che gli chiedevano conto di un’eventuale trattativa con Vivendi l’Ad di Mediaset ha risposto senza parlare, soltanto facendo segno di no con la testa.
L’inchiesta aveva preso il via con l’esposto presentato da Fininvest alla Procura di Milano lo scorso 13 dicembre a seguito degli acquisti Vivendi sul titolo Mediaset che, secondo la holding della famiglia Berlusconi, avrebbero sfruttato il forte calo delle quotazioni dopo la rinuncia della stessa Vivendi a completare l’acquisto di Premium da Mediaset, rispetto al quale le due società avevano già sottoscritto un accordo.
La prima udienza del processo si era tenuta alla fine di marzo, con Vivendi che era passata al contrattacco chiedendo il risarcimento danni per diffamazione. Dopo le parole dure del ceo di Vivendi Arnaud De Puyfontaine (“Siamo stati ingannati da Mediaset“), la media company francese si era presentata in aula con una domanda “riconvenzionale”, che trae cioè occasione da quella promossa dall’accusa e allarga il tema della causa, chiedendo un risarcimento del danno per diffamazione. Il gruppo francese ha sostenenuto che la controparte, subito dopo la mancata vendita di Premium, ha condotto una campagna mediatica che Vivendi ritiene diffamatoria. Anche Mediaset ha chiesto i danni per diffamazione al gruppo francese per le dichiarazioni apparse sulla stampa come l’intervista rilasciata ieri dall’Ad De Puyfontaine al Financial Times.
L’stanza per diffamazione si va ad aggiungere alle altre due partite con gli esposti di Mediaset contro Vivendi per richiedere l’esecuzione coattiva del contratto per l’acquisto di Premium da parte di Vivendi e il risarcimento dei danni subiti, secondo Cologno Monzese non inferiori al miliardo e mezzo di euro. E di Fininvest sempre contro il gruppo che fa capo a Vincent Bolloré, indagato assieme a De Puyfontaine per aggiotaggio nell’ambito di un’indagine penale parallela e relativa alla salita fulminea nel capitale di Mediaset. La holding della famiglia Berlusconi ha chiesto alla società transalpina un risarcimento da 570 milioni di euro per i danni subiti dalla disputa con Vivendi, correlati fra l’altro “alla diminuzione di valore delle azioni Mediaset in conseguenza dell’accaduto, al mancato apprezzamento delle stesse ove si fosse dato corso all’esecuzione del contratto, nonché all’evidentissimo danno di immagine”.
Fininvest inoltre ha dedotto fatti nuovi e cioè la violazione dei patti parasociali per la scalata dei francesi di quasi il 30% del gruppo Mediaset mentre il patto parasociale su premium prevedeva una partecipazione di Vivendi non oltre il 3,5%. Sulla procedibilità di queste questioni il giudice si è riservato una decisione. Il giudice ha deciso di unificare le due istanze che andranno quindi lungo un percorso unico, mentre la domanda riconvenzionale avanzata dalla media company seguirà eventualmente un corso a sé.
C’è molta attesa anche per il verdetto dell’Agcom, chiamata a pronunciarsi sulla possibile incompatibilità della partecipazione della media company in Mediaset con quella in Telecom: l’esame del dossier Mediaset–Vivendi–Telecom da parte dell’authority prenderà il via l’11 aprile.