“Mediaset-Vivendi, sfida a poker contro Netflix. Ma senza assi nella manica”

L’economista direttore generale di ItMedia consulting, Augusto Preta, a CorCom: “Sulla produzione dei contenuti il colosso Usa investe cifre non paragonabili a quelle dei concorrenti. La partita si giocherà sull’esclusività dei diritti e la profilazione dei dati”

Pubblicato il 13 Apr 2016

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Contenuti, contenuti, contenuti. Inutile cercare altri slogan per descrivere l’interesse che ha spinto Mediaset e Vivendi a unire le forze, siglando un accordo di ampio respire e con un orizzonte temporale di almeno 3 anni per mettere in piedi un colosso anti-Netflix. Il progetto del tandem italo-francese si fonda in realtà anche sulla creazione di sinergie per il segmento pay-tv, che tuttavia mostra oggi segnali tutt’altro che incoraggianti.

“La tradizionale pay-tv non è destinata a crescere, anzi risorse e numero di abbonati stanno calando negli ultimi anni”, spiega a CorCom Augusto Preta, economista e direttore generale di Itmedia consulting, società di ricerca e consulenza specializzata sui contenuti digitali. Non a caso, gli sguardi di Vincent Bollorè e della famiglia Berlusconi sono puntati soprattutto altrove, ossia sugli altri 2 pilastri del deal: la nuova major europea dei contenuti e la futura piattaforma on demand.

L’esclusività dei contenuti e lo sfruttamento dei dati legati alla profilazione dei clineti sono i maggiori fattori critici di successo per i servizi online“, sottolinea Preta. Bisognerà però anche capire se su questo mix letale il duo Mediaset-Vivendi sia arrivato in ritardo: “Netflix ha investito in questo settore cifre non paragonabili a quelle degli altri concorrenti“.

Insomma, per quanto la partita italiana ed europea sull’on demand si appresti a subire una brusca accelerazione, è ancora presto per trovare vinti e vincitori. Senza dimenticare che sullo sfondo frastagliato si aggirano le telco e i big di Internet, pronte a fare il grande salto al momento opportuno.

In Francia l’accordo Mediaset-Vivendi è stato definito un “matrimonio di convenienza”? Cosa porta Mediaset a Vivendi e viceversa?

Si assiste ormai da tempo in Europa a un forte processo di consolidamento, legato allo sviluppo dei servizi video su banda larga (streaming, VOD). Ne sono protagonisti i grandi gruppi di telecomunicazioni e via cavo (Vodafone, Telefonica, BT, Liberty Media) e le internet company che stanno espandendo i propri servizi anche al di qua dell’Atlantico (Netflix, Amazon, Google/YouTube). In risposta a questa strategia di “accerchiamento”, Sky prima e ora Vivendi puntano a creare una piattaforma di contenuti televisivi a pagamento in grado di competere con questi grandi operatori.

Al contempo, essendo entrambi titolari di contenuti pregiati, in alcuni specifici mercati (es. Italia) è inevitabile anche una competizione diretta soprattutto sul fronte broadcast, dove dominano ancora i contenuti premium sportivi. Mediaset e Vivendi portano in dote soprattutto mercati geografici dove sono presenti e dove hanno rilevanti quote di mercato e quindi la possibilità di integrare i loro business con possibili economie di scala e di scopo, in modo da potersi confrontare con questi grandi attori sul mercato dei contenuti online

Vivendi ripete come un mantra che il futuro è nella produzione di contenuti. È questa la migliore arma per conquistare e fidelizzare la clientela?

Non c’è dubbio che la distribuzione dei contenuti online passi per la creazione di solide e consistenti libraries, ma soprattutto di produzioni in grado di garantire l’attrattività dei servizi, rispetto ai concorrenti. In questo senso l’esclusività dei contenuti e lo sfruttamento di dati legati alla profilazione del cliente, anche al fine di meglio assecondare i gusti del pubblico e mantenere un alto livello di fidelizzazione, rappresentano i due maggiori fattori critici di successo per i servizi online, non solo a pagamento. Quella di Vivendi è dunque una visione condivisibile, nella quale conta soprattutto la massa critica e la qualità dei prodotti, piuttosto che il modello economico sottostante. La produzione e la fornitura di contenuti, in chiaro o a pagamento, è il punto di maggior interesse e strategicamente più interessante di questa operazione.

Secondo le prospettive del mercato italiano ed europeo, dove è lecito attendersi più impegno da parte del nuovo tandem: sulla pay-tv, che mostra segnali di debolezza, o sull’on demand, nel quale sono pronti a tuffarsi a investire numerosi colossi mondiali come Apple, Google e Amazon?

Come già anticipato, è certamente sul broadband e sull’on demand che si svilupperà maggiormente la competizione. La tradizionale pay-tv non è destinata a crescere, anzi risorse e numero di abbonati stanno calando negli ultimi anni. Tutt’al più nel mercato italiano vi potranno essere degli aggiustamenti interni tra Sky e Mediaset Premium, legati soprattutto alla nuova gara per i diritti del campionato di calcio prevista il prossimo anno.

In questo senso anche la possibilità di cambiamento nelle procedure di vendita, estendendo il grado di esclusiva (non più solo per piattaforma) potrebbe consentire di incrementare anche i valori economici dei diritti televisivi, con benefici diretti per tutto il settore, incluse le squadre di calcio. Ciò detto, a me pare che nel medio periodo i reali competitor siano Netflix e gli operatori on demand, e la vera partita si giocherà su internet

Quale sarà l’impatto a breve termine del deal sul mercato italiano? Cosa cambierà per i consumatori?

Nel breve periodo, a parte una crescita anche nella qualità dei servizi online, non vi dovrebbero essere grandi cambiamenti per il consumatore italiano. Non vi saranno grandi trasformazioni neppure nella valorizzazione e ripartizione delle risorse, ma è innegabile che gli equilibri potranno modificarsi significativamente in un arco di 18-24 mesi.

Hastings ha dichiarato di non aver paura della nuova alleanza Mediaset-Vivendi. Da cosa deriva questa sicurezza visto che in Europa Netflix, a parte in Regno Unito e Scandinavia, non ha ancora sfondato?

In primo luogo dalla convinzione che più c’è concorrenza tanto più si sviluppano i servizi a banda larga e ultra larga, e quindi anche l’on demand e Netflix. Inoltre, perché i contenuti esclusivi faranno sempre più la differenza e Netflix ha investito in questo settore cifre non paragonabili a quelle degli altri concorrenti. A ciò si aggiunge che Neflix dispone di un mercato talmente vasto, gli Usa, dove è l’operatore dominante, che gli consente di recuperare da solo gran parte degli investimenti derivanti dalla sua attività.

Questo vantaggio competitivo gli consente di spalmare le eventuali perdite iniziali nei nuovi mercati, in attesa di raggiungere le dimensioni necessarie anche nel resto d’Europa. Inoltre, rispetto a operatori come Sky e Mediaset Premium, non deve affrontare problemi di cord cutting e di abbandono da parte degli abbonati alla pay TV verso i nuovi servizi on demand. Infine, last but not least, perché ha dimostrato finora di essere più bravo degli altri.

L’alleanza italo-francese è il segnale di un trend in atto nel mercato televisivo europeo, cioè che solo il consolidamento permette di competere su scala globale? In questo scenario che ruolo avranno gli operatori di telecomunicazioni?

Non vi è dubbio che stiamo finalmente operando in uno scenario di convergenza. In questo ambito anche la tradizionale distinzione tra operatori televisivi e di telecomunicazioni è destinata a scomparire. Le offerte quadruple play ormai poggiano sulla forza propulsiva del video come motore del cambiamento e sulla contaminazione dei modelli di business. Oggi nel Regno Unito e in Spagna chi fa broadband fa anche pay TV e viceversa, non vi è più distinzione e questa tendenza, si estenderà presto anche nel resto d’Europa, a cominciare, anche grazie a questa operazione, dall’Italia.

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