PUNTI DI VISTA

Mele: “Economia digitale, mettere al centro il lavoratore”

Il sindacalista Uil: “Bisogna spingere sulla formazione, altrimenti il numero di addetti ad alta specializzazione potrebbe assottigliarsi ancora di più. Con rischi per la tenuta economica degli stati nazionali”

Pubblicato il 05 Lug 2013

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Chiamata a gran voce, “l’eccezione culturale europea” ha per il momento sottratto i “contenuti” al rinnovato accordo di libero scambio euroamericano. Alti lai si sono alzati da parte di nomi prestigiosi della cultura per il controllo allogeno dei networks che mette a repentaglio la sostenibilità del sistema media e cultura. Si tratta delle medesime preoccupazioni che sia in Telco per l’Italia sia nel Forum Asstel sono state evidenziate a fronte del rapporto squilibrato tra gli operatori sopra la rete e gli operatori della rete, cioè tra OTT e Telco. Uno squilibrio molto sentito in Europa che è in difficoltà nei confronti sia dei Brics che delle altre aree avanzate; eppure uno squilibrio strutturale che in tutto il mondo contrappone l’economia materiale all’economia della rete. Le preoccupazioni comuni dei detentori dei contenuti e delle reti di trasporto dati nazionali sono relative alle caratteristiche sovranazionali e ultrasettoriali dell’offerta dell’economia della rete.

La filiera delle Tlc incorpora le società delle infrastrutture apparati e servizi di rete (hardware per le reti), terminali, software, gestione reti Tlc e call center. Il confine di detta filiera non è dettato dalle attività o dal business ma dai confini del contratto Tlc, nato attorno alle Telco. L’hardware per le reti è connesso, senza soluzione di continuità, con altri settori, quali le reti di trasmissione Tv e l’hardware e l’elettronica dei settori Ict metalmeccanici che contano 250mila addetti su un totale di 1,5 milioni di lavoratori. Tra questi gli addetti software del metalmeccanico omogenei all’omonimo settore delle Tlc. L’area delle vendite e dei call center, alla fine della filiera, prosegue senza soluzione di continuità con il settore Ict del commercio. Tutta la filiera è preceduta dai lavori di posacavi stradali e antecedente il settore dei contenuti (media, pubblicità, design, e-government).

Gli OTT sono società di software ed in parte di hardware ma non sono considerate parte della filiera Tlc poiché il loro business è incentrato nel settore dei contenuti. Nel suo sviluppo l’economia della rete ha modificato il confine tra industria e servizi, a favore di questi ultimi. Quando si dice che nel mondo il 75% dell’economia è digitale, si ammette che la filiera della comunicazione va ben oltre quella Tlc. A dirlo sono i ricavi la cui origine non è più chiaramente divisibile come in passato. Nel mondo il cinema fattura 65 miliardi, di cui solo 30 dalle sale; il resto proviene da Tv e pubblicità. I fatturati dei media in gran parte coincidono con quelli pubblicitari globali, del valore di 500 miliardi. Dentro questa cifra ci stanno, in gran parte anche i 5 miliardi del download musicale o i mille miliardi dell’e-commerce , che solo nel ’99 valeva solo $ 110 miliardi. Quanta parte dei 1100 miliardi dell’IT si confonde con la pubblicità, con l’e-commerce, con lo stesso hardware, con la gestione Telco? I 30 miliardi di transazioni finanziarie individuali mondiali sono IT, commercio o finanza? D’altra parte i fatturati non sono realizzati dai settori economici ma da società che si muovono senza rispettare i confini statistici. Nell’era Internet convivono le domande ed offerte del web 1.0 della semplice ricerca, del web 2.0 delle applicazioni in rete sostitutive di quelle di casa, del web 3.0 di tridimensionalità e di contenuti interattivi degli utenti.

Da un lato, le imprese, cioè la produzione, in genere sono dovunque molto prudenti in questo cammino. In Germania, che su questo fronte è il paese più avanzato in Europa, il 75% delle persone fisiche fa uso della rete per ogni bisogno e svago, ma solo il 22% delle imprese si integra nella rete. All’altro capo l’Internet finanziario corre oltre la velocità della luce attraverso l’integrazione degli scambi tra le 40mila multinazionali (su 37 milioni di società) ed i Fondi, fino ai $600mila miliardi, 8 volte di più del Pil mondiale. L’economia digitale privilegia il consumatore, i monopoli, la convergenza di hardware, software, trasporto dati, tutti strumenti che abbassano prezzi e salari per unità di prodotto e che unificano l’offerta in un mix di apporto tecnologico, di trasporto dati e di contenuto. Nell’unificazione della filiera delle comunicazioni, guadagna solo il driver di tutto il complesso, che è il soggetto informatico: oggi le OTT, domani i proprietari degli store di gioco, video e servizi interattivi. Paradossalmente crescono traffico dati e la fruizione di apparati di comunicazione, di libri, media, video e pubblicità, ma per molti soggetti della filiera calano i ricavi, soprattutto per le Telco sulle cui reti si muove tutto.

Peggio va per i lavoratori cui l’economia digitale chiede di trasformarsi di volta in volta in venditori, impiegati pubblici, metalmeccanici, commessi, informatici, operai, professionisti dei media; cui chiede competenze tecniche tanto più specialistiche quanto volativi. L’economia digitale chiede al 5% dei lavoratori di sostenere la trasformazione del 75% della società, senza neanche rimpinguarne il numero. La crescita dei posti di lavoro per cloud e smart cities non recupera l‘occupazione persa in editoria, media, Tlc, elettronica, metalIct, dall’Uk, alla Cina ed Usa. Corollario dell’efficienza digitale è infatti la sua capacità di sostituire lavoro, non manuale ma skillato, con macchine e processi IT. Non sono per ora spariti i mercati delle relazioni pubbliche e personali, delle vendite all’asta, dei giornali, dei media e delle Telco le quali ultime valgono da sole $1600 miliardi in una filiera totale da 3300, il 4% del Pil mondiale. La tendenza c’è se non si riporta al centro il produttore (lavoratore e non) e non si cambia modalità di pagamento. Un ticket flat omnicomprensivo di filiera all’ingresso nella rete per esempio. Altrimenti i 20 milioni di lavoratori dell’intero digitale, meno dell’1% di tutto il lavoro mondiale (a fronte del 4% dei ricavi) sono destinati a ridursi sensibilmente.Con implicazioni addirittura sulla reale indipendenza degli Stati nazionali

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