COMUNICAZIONE DIGITALE

Mestieri 2.0, in arrivo una generazione di architetti dell’informazione

La disciplina si sta diffondendo anche in Italia: il primo master partirà allo Iulm nel 2015. Federico Badaloni, presidente di Architecta: “Ma siamo in ritardo perché non legati a una cultura della sperimentazione”

Pubblicato il 17 Nov 2014

Nascerà alla Iulm di Milano da gennaio 2015 il primo master in Italia dedicato all’Architettura dell’informazione (IA). Se ne comincia a discutere anche nel nostro paese, ma è una disciplina che ai più, anche del settore, è oscura. Ad aiutarci a fare chiarezza Federico Badaloni, presidente di Architecta, la società italiana dell’IA nata nel 2009 e architetto dell’informazione per il Gruppo Espresso.

“L’IA – spiega – nasce verso la fine degli anni ’90, trovando un primo riconoscimento e una prima teorizzazione con Peter Morville e Louis Rosenfeld, che nel 1998 hanno scritto Information Architecture for the World Wide Web”. Proviamo a darne una definizione: “l’Architettura dell’Informazione studia le dinamiche dell’interazione fra le persone e le informazioni – aggiunge Badaloni – oltre che la logica e la dinamica interna attraverso la quale queste ultime sono organizzate. Gli architetti dell’informazione progettano la comunicazione digitale in funzione dei contesti nei quali essa accadrà, progettano siti web, applicazioni, reti interne alle aziende, fino ad arrivare a progettare come l’informazione si innesterà e interagirà in ambienti fisici complessi, ad esempio i musei, le grandi stazioni, gli aeroporti”. In principio obiettivo principale dell’IA era quello di rendere usabili le interfacce o quello di migliorare le piattaforme per facilitare l’e-commerce e permettere agli imprenditori un ritorno degli investimenti. “Ma successivamente – dichiara il presidente di Architecta – si è visto che in realtà gli architetti dell’informazione non creavano semplicemente siti, creavano rapporti. Il digitale è stato acquisito come una parte del reale e chi doveva progettare le informazioni, era qualcuno che aveva bisogno di tenere insieme una comunicazione a più gradi. E quindi si è cominciato a parlare di ecologie, ecologia dell’informazione”. “Noi – aggiunge – non possiamo in nessun modo prescindere dall’aspetto strategico dell’inquadramento dei contenuti e aiutare le aziende a pensare loro stesse in termini digitali. Siamo forse l’unica categoria che ha una visione comprensiva che include il business, il tono di voce, la strategia sociale, la coerenza della informazione in tutti i contesti. Spesso ci chiedono che il messaggio resti se stesso e resti coerente attraversando ambiti diversi, pur essendo rimodellato dalle stesse persone che lo utilizzeranno, come se fosse un pezzo di pongo, che resta sempre pongo anche se cambia forma e chiaramente è molto complesso progettare tutto questo”. Ma la rivoluzione non è solo questa, è mettere al centro dei contenuti e della progettazione l’utente: “Infatti tutto quello che facciamo nella nostra metodologia si chiama user tender designer”.

Quello che sta cambiando è la concezione stessa della rete, mettendone in risalto l’aspetto relazionale delle informazioni più che l’aspetto redazionale perché “se prima la rete era una rete di documenti – dichiara Badaloni – ora è una rete di persone che interagiscono per creare senso, per creare nuovi significati. La rete non è più solo un archivio, ma un immenso laboratorio dove l’umanità pensa e l’architettura dell’informazione rende possibile che questo avvenga”.

Ma allora perchè in Italia c’è ancora un ritardo nella diffusione e conoscenza di questa disciplina? “Perché è legato alle dinamiche del mondo del lavoro” – afferma l’architetto. “Noi non siamo legati a una cultura della sperimentazione, anche rapida, che ti porta a scoprire gli errori. L’architettura dell’informazione implica una delega, sapere di non sapere, implica il fatto di dire che tutto quello che funzionava in un mondo precedente alla rete, ora non funziona più. Questa ammissione in Italia ritarda ad arrivare perché la rete viene vista come un altrove, un altrove che ha le sue regole e io le posso anche ignorare se è un altrove, se è un altrove io posso rimanere al di qua. E non è così perchè la rete non è un altrove, anzi pensarla come tale genera alienazione nel migliore dei casi e le tragedie delle aziende che chiudono nel peggiore, la rete ormai innerva come se fosse un sistema nervoso gli oggetti della vita quotidiana, è come se il reale si fosse espanso, o ti espandi o resti monco delle potenzialità che potresti cogliere con il digitale”.

Ma la disciplina si sta diffondendo e lo confermano anche i numeri dell’ultimo summit che si è tenuto a Bologna la scorsa settimana: “Quest’anno ai workshop c’erano 250 persone da tutta Italia, tra i 25 e i 40 anni. 250 persone tra grafici, informatici, giornalisti, psicologi, antropologi, comunicatori, contro le 180 del 2013. Ci ha colpito la presenza di molti giovani. C’erano infatti molte persone uscite dai primi corsi che abbiamo organizzato, uno allo Ied nel 2012 e uno all’Università di Perugia lo scorso anno. La nostra generazione di architetti dell’informazione ha l’onere di formare le nuove generazioni, ma le università non sanno neanche della nostra esistenza e questo è paradossale”. Tra gli obiettivi di Architecta vi è appunto la formazione. Per questo oltre ai numerosi workshop gratuiti che durante l‘anno organizzano in tutta Italia e al summit annuale che ha come scopo di creare sinergie e presentare scenari, un importante obiettivo raggiunto da Architecta è la creazione in collaborazione con la IULM del master, unico in Italia, in Architettura dell’informazione e user experience design, che partirà da gennaio 2015. “Questo master – conclude Badaloni – è pensato non solo per studenti, ma anche per chi lavora, perché tutti quelli che si trovano a fare comunicazione devono convertirsi al digitale. È l’unica occasione per creare nuove leve e per formarsi alla nuova disciplina a tutto tondo”.

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