Il sistema produttivo italiano si caratterizza per una buona propensione a investire in innovazione. Poco più della metà delle imprese italiane (53%) sono infatti classificabili come innovatori, con un’intensità molto elevata nell’utilizzo della leva degli investimenti in macchinari e attrezzature, ossia in capitale tangibile. Di contro vi è un ricorso più limitato alle diverse tipologie di asset intangibili, e in particolare degli investimenti in ricerca e sviluppo, nei software e nelle licenze per l’analisi dei dati, nel rinnovamento delle competenze dei lavoratori. A fronte dell’elevata propensione all’investimento, le strategie innovative risultano generalmente a bassa o medio-bassa complessità, ossia attivano contemporaneamente poche leve d’investimento in capitale tangibile e intangibile.
A dirlo è il primo Rapporto Innovazione Italia 2021 di Assoconsult (SCARICA QUI IL REPORT), curato dal Centro Studi Confindustria con il supporto di Istat e presentato ieri in Confindustria Bergamo all’interno dello spazio Kilometro Rosso. Gli elementi emersi dal Rapporto sono stati illustrati nel corso dell’evento dal Vicepresidente di Assoconsult con delega all’Innovazione Alberto Antonietti e da Livio Romano, Responsabile dell’area Tendenze delle imprese e dei sistemi industriali del Centro Studi Confindustria.
L’Italia recupera terreno sul fronte 4.0
“La crisi economica che ci ha colpiti nell’ultimo biennio è solo la più recente di numerose sfide che le aziende italiane si sono trovate ad affrontare negli ultimi 15 anni”, ha spiegato Romano. Il susseguirsi dei numerosi ostacoli, però, ha anche portato molte imprese a intraprendere importanti programmi di innovazione e trasformazione che ne hanno aumentato notevolmente la resilienza e la competitività. In tutta Europa esiste un problema di scarsa penetrazione delle tecnologie digitali (non solo quelle 4.0), ma l’Italia ha recuperato il suo divario con la media europea. Per esempio, tra le imprese di grandi dimensioni, il gap di digitalizzazione è stato colmato”.
Antonietti ha invece precisato che “chi ha avviato progetti d’investimento spesso lo ha fatto con uno sguardo rivolto al digitale avanzato e all’ambiente. Tra le imprese innovatrici con almeno 10 addetti, il 26% ha investito in tecnologie digitali 4.0 e il 67% in azioni volte a ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività. La percentuale cresce laddove è maggiore la sinergia tra investimenti in asset tangibile e intangibile, ossia la complessità delle strategie innovative adottate. Inoltre, tra le imprese innovatrici maggiore è stata la capacità di recupero dei volumi di affari nella seconda metà del 2020, dopo i mesi del lockdown”.
La percentuale di quelle che ha registrato variazioni tendenziali positive dei ricavi nel periodo giugno-ottobre 2020 è stata superiore rispetto alle imprese non innovatrici di circa cinque punti ed è stata massima, ancora una volta, all’interno del gruppo di imprese che, prima dello scoppio della pandemia, avevano investito con strategie d’innovazione più complesse. Un maggior numero di innovatori è riuscito ad aumentare il fatturato nonostante la pandemia. “Il rapporto”, ha concluso Antonietti, “mostra come, rispetto a chi abbia innovato, il fatturato è cresciuto del 16%, mentre per chi non ha previsto iniziative dedicate all’innovazione il fatturato è cresciuto solo del 10%”.
Serve un cambio di passo
Complessivamente il rapporto evidenzia come il sistema produttivo italiano necessita di un cambio di passo nel disegnare percorsi evolutivi più articolati, che sappiano affiancare al tradizionale canale di investimento in beni tangibili una maggiore valorizzazione di quelli intangibili. Per farlo è imprescindibile aumentare la qualità delle competenze tecniche e manageriali detenute dalle imprese del nostro Paese. Di fronte alle sfide epocali del nostro tempo è fondamentale che le imprese italiane mantengano, come accaduto storicamente, un’alta propensione all’investimento in innovazione.
“Ma non basta innovare”, ha rilanciato Antonietti. “Conta anche come si innova. Puntare sugli investimenti intangibili significa rafforzare, in tutti i comparti produttivi, innanzitutto la dotazione del capitale umano nelle imprese italiane. Lo sforzo non può che nascere da una maggiore consapevolezza da parte del sistema produttivo dell’importanza di puntare sulla formazione continua della propria forza lavoro e sull’inserimento di nuove figure professionali qualificate, sia tecniche sia manageriali. La competitività non può giocarsi solo a livello della singola impresa, sia essa anche di grande dimensione, ma chiama in causa l’ecosistema in cui essa opera, di cui fanno parte non solo le altre imprese a monte e a valle, ma anche le istituzioni pubbliche, le università, i centri di ricerca, i corpi intermedi. Tutti questi attori sono chiamati a dare il loro contributo per aumentare la qualità dell’innovazione, e quindi della crescita economica dell’Italia. Ciò sarà possibile anche grazie al Pnrr, fenomenale piano di investimenti e un’opportunità irripetibile di trasformazione del sistema Paese”.